Grande successo per La signora del martedì, con i due attori in stato di grazia
di Roberto Ciarapica© Tgcom24
Sono almeno tre le ragioni per non perdersi La signora del martedì, in scena al teatro Parenti di Milano fino al 18 febbraio. La prima e la seconda hanno nome e cognome: Giuliana De Sio e Alessandro Haber, due fuoriclasse del teatro italiano che sembrano aver lavorato tutta la carriera per arrivare pronti ai personaggi di questa storia, cuciti addosso a loro come inspiegabili vite vere. Ma La signora del martedì (tratta dal romanzo di Massimo Carlotto, per la regia di Pierpaolo Sepe) è imperdibile anche per il suo originalissimo mix di generi: un po’ giallo, un po’ noir, un po’ thriller, un po’ dramma, un po’ commedia (a tratti comica), con mood, però, da tragedia greca, per via di quel destino strisciante che, come la collera degli dei, va a scovare la protagonista ovunque provi a nascondersi.
Lei è Alfonsina Malacrida, detta Nanà (Giuliana De Sio), misteriosa signora di mezza età, appassionata di tango, che ogni martedì, dalle 15 alle 16, nella quasi dismessa pensione Lisbona, si incontra con Bonamente Fanzago (Riccardo Festa) per consumare un algido ma (a lei) indispensabile rapporto sessuale a pagamento. Il suo improbabile gigolò è un ex attore porno cardiopatico, che vive da 15 anni nella pensione Lisbona insieme al proprietario Alfredo (Paolo Sassanelli), un uomo che si sente donna e si comporta (fino a prova contraria) come tale.
Niente è come sembra, e nessuno è quel che dice di essere, in questo noir ironico e tragico, soprattutto da quando sulla scena irrompe il sedicente giornalista Pietro Maria Belli (Alessandro Haber), un misterioso uomo in carrozzina che conosce il passato degli altri come se ne avesse fatto parte e che stravolge improvvisamente la sordida routine della pensione. In un vortice di registri (dal drammatico al comico), lo spettacolo procede per colpi di scena, in cui il digrignante Haber e l’enigmatica De Sio (protagonista di un monologo da pelle d’oca) si affrontano in un duello all’ultimo sangue. Ma l’assassino non è mai il sospettato, ed è sempre “altrove”, in questa assurda storia di dimenticati che non dimenticano, tenuti insieme da un intreccio di solitudini atroci. Che li pestano come nel tragico tango finale.