Il rocker è tornato con "Dog Eat Dog", un lavoro in cui molti testi sono in linea con il momento difficile che il mondo sta vivendo. Tgcom24 ne ha parlato con lui
di Massimo Longoni© Nicola Allegri
Cane mangia cane, "Dog Eat Dog". E' il titolo del nuovo album di Pino Scotto, già disponibile in digitale e in uscita ad aprile anche in formato fisico, ma anche una perfetta fotografia dei tempi che stiamo vivendo. "Alcune canzoni sembrano scritte oggi anche se sono di alcuni mesi fa - spiega a Tgcom24 -. Dobbiamo ricordarci che della vita non va sprecato nemmeno un minuto e spesso lo capiamo solo di fronte ai drammi".
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"Siamo tutti ai domiciliari ma ce la faremo. Mai arrendersi. Sembra di essere in guerra". La conversazione con Pino Scotto non può che partire dal momento attuale, con il mondo fermato dall'emergenza sanitaria per il Covid-19. Anche perché con testi che vogliono far riflettere sull'egoismo e la superficialità del mondo odierno, molte delle canzoni sembrano essere state scritte adesso e non mesi fa. Ma diventano una lente per meglio interpretare anche molti comportamenti della gente oggi. Il disco affronta però anche tematiche più personali, come “Same Old Story”, dedicata alle storie d’amore di una vita, o “One World One Life”, dedicata a suo figlio.
© Nicola Allegri
Che effetto ti fa uscire con un disco adesso, in un momento in cui la vita di tutti sembra sospesa?
E' un effetto stranissimo. Si spera sia un po’ un antidoto. Cerchiamo di scacciare le cose negative e continuare a combattere.
Tra l'altro molti pezzi sembrano di un'attualità straordinaria...
Beh, il singolo "Don't Waste Yor Time" sembra scritto apposta e invece è stato scritto quasi sette mesi fa.
Come è nato?
Io ho da anni una specie di influenza che mi viene. Senza febbre, mal di gola o raffreddore ma mi butta veramente giù. Più di un anno fa non mi passava e il dottore mi ha mandato a fare una radiografia. Quando gli ho portato i risultati è diventato bianco come un lenzuolo. Sul cd non si riusciva a leggere e sul referto c’era scritto “massa bianca sui polmoni”.
Hai pensato al peggio?
Tieni conto che sia mio nonno che mio padre sono morti di tumore ai polmoni e io ho fumato per 45 anni… fino a tre anni fa fumavo tre pacchetti di Lucky Strike al giorno…
© Ufficio stampa
Come è finita?
E' finita che mi ha mandato a fare una lastra e… è venuto fuori che si erano sbagliati! Di fatto è uscito che avevo una bronchite cronica ma è stata la notizia più bella che abbia ricevuto nella mia vita.
E' stata una grande lezione per te?
Si, ho capito che nella vita non bisogna sprecare nemmeno un minuto. E spesso te ne rendi conto solo di fronte a una situazione negativa. Così spero che quando usciremo da questo incubo la gente capirà che forse prima non si stava così male. Anche se questo Paese ha già dimostrato di avere poca memoria…
Come è nato questo disco?
Io ho sempre fatto i miei dischi in totale libertà. Appena sciolti i Vanadium sono passato alla lingua italiana e al blues quando sarebbe stato comodo continuare nel solco di quanto fatto con la band. Poi ogni album ha avuto storia a sé, qualche volta ho voluto contaminare il metal con il rap, ma ho capito che per la gente non devi cambiare. Ma ho una grande fortuna.
Quale?
Che con il mio lavoro in fabbrica prima e con la mia pensione poi, io ci sopravvivo. E quindi per la musica sono sempre stato libero di fare quello che volevo.
Questa volta la libertà dove ti ha portato?
Ho preso un percorso un po’ diverso. Ho voluto fare un album come si faceva negli anni 70. Ho voluto fare un percorso nella mia memoria, scrivendo brani che, secondo il mio gusto, partono da quegli anni e arrivano a oggi. E quello che mi è venuto ho scritto.
© Nicola Allegri
In quanto tempo hai scritto tutti i brani?
Più o meno sei mesi, anche meno. Io ho una programmazione molto definita. Ogni due anni esco con un album, sono puntale come le tasse. Dopo il disco mi faccio un anno e mezzo di tour, con 120/140 date, e in sei mesi scrivo il lavoro nuovo.
Oltre ai brani inediti hai recuperato anche un pezzo storico dei Vanadium. Come mai proprio "Don't Be Looking Back"?
In realtà è venuto per caso. Eravamo in studio e Steve Volta, il mio chitarrista e arrangiatore, si è messo a fare l’arpeggio. Ho chiesto agli altri se la conoscessero e loro hanno attaccato, anche se forse non è che la conoscevano proprio tutta perfettamente. Alla fine infatti è venuta un po’ diversa dall’originale ma mi è piaciuta e ho deciso di metterla nel .
Hai citato i tuoi lunghissimi tour. Per te la dimensione live è fondamentale, adesso però è tutto bloccato, come ti senti?
Attendiamo. Ma prima ancora di pensare a concerti o altro dobbiamo sperare che il paese si risollevi perché è un momento davvero brutto.
Per te questo periodo di reclusione forzata è anche un periodo di ispirazione?
Ho già messo giù una serie di idee per una quindicina di brani! Sono qui da solo chiuso in casa da giorni e poi quello che accade è una grande fonte di ispirazione. Ma soprattutto è terapeutica. La musica ci ha sempre salvato, speriamo lo faccia anche questa volta.