LA RECENSIONE

Tutti pazzi per “Il caso Jekyll”

Al teatro Carcano di Milano, Sergio Rubini fa centro con l’immortale capolavoro di Stevenson

di Roberto Ciarapica
15 Nov 2024 - 14:16
 © Ufficio stampa

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Un po’ cinema e un po’ teatro. Una crime story che incolla lo spettatore alla poltrona per oltre due ore di suspence, di paura ma anche di forte commozione. “Il caso Jekyll” di Sergio Rubini (regista e protagonista in scena) è uno degli spettacoli più forti dell’anno fra quelli proposti dal Carcano di Milano (12-17 novembre, poi andrà in giro per tutta Italia - prossima tappa: Teatro delle Muse di Ancona, dal 21 al 24 novembre).

Dopo 14 regie al cinema, Rubini porta sul palcoscenico gli stessi tempi, la stessa scrittura, le stesse atmosfere e colonne sonore di un vero e proprio film (in stile “La terra”, forse il suo giallo più riuscito). Questo rende Il caso Jekyll quasi unico nel suo genere. Ispirata al fortunatissimo racconto gotico di fine Ottocento di Robert Louis Stevenson (“Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”), la storia si sviluppa intorno alla voce narrante di Rubini (che spesso si sdoppia per essere - anche - uno dei personaggi in scena) e segue il romanzo dal punto di vista della struttura narrativa, però ne abbandona le allegorie, il carattere fantastico, per esaltarne invece la dimensione psicanalitica, e dunque più umana, dunque più sconvolgente. Questo, per usare le parole dello stesso Rubini, è soprattutto “un viaggio nell’inconscio di un famoso luminare della medicina, Henry Jekyll, che volendo individuare le cause della malattia mentale si fa cavia e diventa poi vittima delle sue stesse teorie, tirando fuori dalla caverna del conscio ciò che è a lui stesso nascosto, la sua ombra, il suo Hyde”.

Recitato da sei attori perfettamente calibrati (mostruoso, in tutti i sensi, Daniele Russo nei panni di Jekyll e Hyde), animato da un’incalzante atmosfera thrilling (applauso alle scelte scenografiche e al pregevole lavoro su suoni ed effetti), Il caso Jekyll è un perfetto esempio di come si possa fare grande teatro anche con ingredienti più... cinematografici, appunto. Rubini trasforma il racconto gotico in una storia contemporanea, spinge in platea l’ombra del signor Hyde. Come in una specie di seduta psicanalitica collettiva, chiama in causa il doppio di ognuno di noi, la nostra parte più nascosta, più pericolosa e più gaudente, sembra quasi voler gridare in faccia allo spettatore ciò che Stevenson, prima, e poi Jung e Freud, da 150 anni, suggeriscono (spesso senza essere ascoltati) all’umanità. Il caso Jekyll funziona perché è vero, perché terrorizza e commuove con la cruda franchezza di chi ha urgenza di mostrare l’uomo agli uomini. Con un pizzico di finzione cinematografica, ma con la sincerità, senza filtri e senza sconti, del miglior teatro.

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