Il cantautore romano pubblica "In questa storia che è la mia", il primo album di inediti dopo 7 anni. Un lavoro importante e ricco di sfumature
di Massimo Longoni© Alessandro Dobici
Arriva nei negozi il 4 dicembre "In questa storia che è la mia", il nuovo album di inediti di Claudio Baglioni. Una sorta di summa della sua carriera: 78 minuti di musica, divisi tra 14 canzoni e 4 interludi piano e voce racchiusi tra un intro e un finale orchestrali. "Il motivo conduttore di questo lavoro è lasciare un segno - spiega -. E' una sorta di autobiografia senza nomi, date, una scorsa veloce su quello che è successo".
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Sette anni di lavoro separano il precedente "ConVoi" da questa nuova fatica. Sette anni intensi, durante i quali Baglioni si è concesso due Festival di Sanremo da direttore artistico e un album e una lunga tournée in coppia con Gianni Morandi. Insomma, non è che sia stato con le mani in mano. Ma tra un impegno e l'altro ha iniziato a mettere giù questo è un disco in qualche modo summa della sua carriera. Perché dentro ci sono temi, melodici e tematici, che riportano a molte tappe precedenti del percorso del cantautore, e perché comunque con la sua imponenza si pone come un lavoro importante, fatto, come lui ha rimarcato, per "lasciare un segno". Frase, non a caso, che apre il primo brano "Altrove e qui". "Il tempo è l'avversario micidiale di ogni cosa vivente. E non si può battere, al massimo puoi affiancarlo, qualche volta pareggiare - dice parlando in Zoom agli oltre cento giornalisti collegati per la conferenza stampa di presentazione del lavoro -. Il vantaggio di fare questo mestiere è di pensare che ci sarà qualcosa di noi che resterà anche dopo. Nel primo verso dico "Ho vissuto per lasciare un segno". Ma credo sia la missione di chiunque sia venuto al mondo. Io ho cominciato a fare quello che faccio tutt'ora nel 1964, quasi per caso partecipando a un concorso per voci nuove nel mio quartiere - continua -. Quando è arrivato il successo mi sono detto che sarebbe durato poco e invece dura ancora oggi. Lasciare un segno è stato il motivo conduttore di questo lavoro. Sono stato quasi ossessionato da un verbo, incidere. Un tempo si diceva "incidere un disco", il solco era mitico, fa parte dell'epopea della musica registrata.
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"In questa storia che è la mia" è un album a tema, come spesso è accaduto di fare in passato a Baglioni. Al centro c'è una storia d'amore con i suoi sviluppi e i suoi momenti topici, una storia che è una sorta di autobiografia ("Ma senza date, nomi, fatti. Una scorsa veloce su quello che è stato, perché ormai nella mia mente la
rivivo così: ho perso il ricordo nitido di quando una cosa è successa"), che diventa paradigmatica per tante altre. "Tolti il primo e l'ultimo brano, che cercano di dare una visione allargata della scena, quasi con un grandangolo - spiega -, ho cercato con un teleobiettivo di andare a scandagliare i vari momenti della curva di un amore. Cantarlo oggi, in un album che non parla assolutamente del momento che stiamo vivendo, può sembrare strano ma credo che la funzione dell'arte sia portarsi fuori dagli eventi di cronaca".
Baglioni definisce questo lavoro "un film in costume", dove le sonorità sono pensate per riportare l'atmosfera degli anni che fanno da teatro alla storia. "Il proposito era quello di ritrovare una vitalità e un'energia nella timbrica che fosse riconoscibile - dice -. Che infatti riporta a un periodo tra la fine degli anni 60 e la fine degli anni 70". Un film in costume dove i fan più attenti ritroveranno collegamenti e discendenze da alcuni dei lavori più celebri di Baglioni. "Esiste una connessione con "Io sono qui" del 1995, come telaio - conferma -. Qualcosa del genere, con gli interludi, c'è anche nell'album "Strada facendo". Anzi, erano proprio ispirati a quelli anche se in quel caso gli interludi erano voce e chitarra. Con "Io sono qui" c'è anche l'album storia, il concept. Chi rimarrà più affascinato da questo lavoro sentirà molti rimandi, a volte chiari altre volte sottintesi, con altri miei dischi. Ma questo lavoro ha due genitori: il padre è 'Oltre', e la mamma è 'Strada facendo'".
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In questo lavoro c'è, ancora più del solito, una grande attenzione ai testi, soprattutto alla loro musicalità. "Spesso ho fatto fatica a mettere insieme parole e musica, perché sono materie diverse - dice -, come confrontare qualcosa di impalpabile e qualcosa che ha più significato. Quindi ho cercato di andare verso il significante, aggiungere musica nei testi, come se un'orchestra di parole si aggiungesse ai musicisti che hanno suonato".
Tra i brani più importanti del disco c'è "Dodici note" ("Un brano manifesto in cui si combinano due orchestre"). E non a caso così si intitola lo show che Baglioni, situazione pandemica permettendo, porterà dal vivo la prossima estate. Il programma prevede una partenza dalle Terme di Caracalla di Roma, dal 4 al 18 giugno 2021, con 12 serate con l’orchestra sinfonica, il coro lirico, il suo gruppo di solisti e coristi, per poi affrontare 4 appuntamenti live in due teatri luoghi d’arte unici al mondo: il 16 e 17 luglio al Teatro Greco di Siracusa e l’11 e 12 settembre all’Arena di Verona.
E a proposito di situazione pandemica, Baglioni non si è potuto esimere dall'affrontare il discorso della crisi che ha investito il settore musicale in maniera particolarmente drammatica. "Il nostro è uno dei settori più toccati dalle misure di restrizione, qui la gente ha perso il 100% del lavoro - dice -. Conosco le storie personali di molti dei lavoratori che sono in difficoltà, perché siamo cresciuti insieme. Nei miei concerti la famiglia era davvero numerosa, gli spettacolo hanno sempre richiesto tante maestranze. Io non ho ricette e probabilmente non ce n'è una sola. Tranne che operare immediatamente senza firmare appelli. Bisogna rimboccarsi le maniche e intervenire anche personalmente. Qualcuno lo ha fatto, anche con sottoscrizioni personali e private, per creare un fondo di sostegno. Credo ci sia il dovere di cercare nuove forme. Non sono d'accordo con chi dice che i concerti non si possono fare in streaming, in televisione o a distanza. Ovvio che non è la stessa cosa. Ma se riuscissimo a creare nuove letture dei concerti e anche nuove dinamiche, potrebbe diventare più interessanti e appetibili per media diversi".
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