NUOVO ALBUM

I Lacuna Coil pubblicano "Sleepless Empire": "La vita vera è fuori dalla tecnologia"

Decimo album per la metal band milanese molto amata negli Stati Uniti. Tgcom24 ha incontrato i cantanti Cristina Scabbia e Andrea Ferro

di Massimo Longoni
25 Feb 2025 - 11:53
 © Cunene

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Decimo album per i Lacuna Coil: l'iconica band metal italiana è tornata con "Sleepless Empire", la prima raccolta di brani inediti a sei anni di distanza da "Black Anima". Anticipato dal singolo "Oxygen" e uscito in contemporanea con il singolo "I Wish You Were Dead", pubblicato in coincidenza con San Valentino, "Sleepless Empire" vede la band milanese proseguire nel percorso di un suono sempre più duro e roccioso a fare da vestito a una serie di canzoni dove al centro c'è il ruolo della tecnologia nel mondo di oggi. "Questa è una generazione super connessa con il resto del mondo, ma mai disconnessa - dicono i cantanti del gruppo Cristina Scabbia e Andrea Ferro a Tgcom24 -. È più una riflessione su dove eravamo e dove siamo arrivati, come si è evoluto tutto. Il fatto di avvalersi dei vantaggi della tecnologia, però realizzando che comunque la vita vera è al di fuori di una tecnologia che puoi controllare fino a un certo punto".

Più passa il tempo e più il vostro suono sembra indurirsi, questo album è un bell'attacco sonoro dall'inizio alla fine...

Cristina Scabbia: A livello di ispirazione musicale che è nato tutto parallelamente alla scrittura di "Comalies XX", che è stato il disco che abbiamo fatto come celebrazione del ventennale del nostro album "Comalies", in cui ci siamo trovati a riscrivere, pur con un'idea diversa e tanta esperienza alle spalle, un disco di vent'anni prima. Probabilmente il fatto di avere riascoltato canzoni del passato ha aperto qualche cassetto dal quale Maki, il nostro bassista, che compone solitamente la musica, ha attinto per iniziare a buttare le basi per qualcosa di nuovo.

Tematicamente invece come è nata l'ispirazione?

Cristina Scabbia: Ppuoi scrivere comunque dei bei riff, dei passaggi musicali, però visto che a noi piace l'idea di un disco completo, che sia una sorta di viaggio o film, ci serviva qualcosa che facesse scattare la molla e forse è stato nella ricerca stessa del titolo. Alla fine è scattata questa idea di questo "Sleepless Empire", che rappresenta un po' quello che stiamo vivendo al giorno d'oggi, questa generazione super connessa con il resto del mondo, ma mai disconnessa, nella quale ci mettiamo dentro anche noi, essendo molto attivi anche sui social. 

Da un punto di vista vocale sembra che vi siate divisi le parti in maniera anche più netta del passato, tra strofe aggressive e ritornelli più aperti.

© Ufficio stampa

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Andrea Ferro: È stata una scelta per dare impatto alle canzoni. Cerchiamo sempre di avere un po' di bilanciamento, anche avendo due voci abbastanza diverse, però non sempre. A volte è un po' la musica che ti chiama certe cose, è più facile che avendo una strofa heavy con un certo groove abbastanza veloce la canti io, invece magari il ritornello si presta di più a quella di Cristina, che è più ampia e melodica. Però è un po' vero anche che questa divisione riflette un po' le tematiche delle canzoni: le strofe sono un po' più problematiche, si descrive più la situazione di conflitto, mentre il ritornello, ovviamente, porta al tema principale, ma ha anche un pochino di speranza. È un po' la caratteristica dei nostri testi, che sono sempre abbastanza cupi e dark, però tenendo sempre un minima luce di speranza.

Cristina Scabbia: La separazione delle voci non è fatta con il bilancino. Se una canzone suona bene in un certo modo non ci interroghiamo su quante parti abbia cantato Andrea e quante io. Tanto siamo sempre noi, è come se fossimo due strumenti, in ogni canzone c'è la chitarra, in ogni canzone c'è il basso e va bene così.

Nell'ambito di un disco molto aggressivo c'è una canzone più accattivante, che è "Wish You Were Dead", che avete fatto uscire come singolo a San Valentino. Come è nato questo brano?

Cristina Scabbia: È una canzone che almeno a livello di testo è nata proprio così. Mi ricordo che avevo cominciato a canticchiare, è uscita così e ci è piaciuta subito l'idea che fosse un testo che dicesse qualcosa di forte come "vorrei che fossi morto" in un contesto più "allegrotto", per quanto la ritengo comunque un'ottima canzone dalle atmosfere dark, forse un po' Rammstein. Ci piaceva questo contrasto, anche se ovviamente si parla di una morte nella testa di una persona, dell'immagine di una persona, ovviamente non si tratta del desiderio di voler veramente la morte di un'altra persona.

La composizione delle vostre canzoni parte sempre dal vostor bassista, Marco Coti Zelati?

Cristina Scabbia: Sì, anche se una cosa bella di Maki è che è sempre pronto a ridiscutere le proprie idee, perché è facilissimo per chi scrive, anche per noi che scriviamo testi e scriviamo parti vocali, innamorarsi delle proprie idee e fissarsi che quella sia la strada giusta. Maki in questo è molto bravo, perché cambia idea da un giorno all'altro, se pensa che non sia abbastanza, se pensa che quella non sia la strada giusta da seguire, cancella tutto e rifà, nonostante abbia passato magari due giorni e due notti sulla stessa idea.

In questo caso interviene un lavoro di gruppo o è comunque lui a modificare le sue idee iniziali?

Cristina Scabbia: Le cose possono cambiare anche in base a un'idea vocale che abbiamo avuto noi. Può capitare che debba cambiare la musica per adattarla a una parte vocale che abbiamo scritto, preferendo la nostra idea alla sua di partenza. Lui ragiona molto sulle voci, magari hai un'idea di partenza che ti sembra buona e poi ti accorgi che su quel groove il cantato non ci sta, però il cantato ti piace così tanto che è meglio tenere il cantato e cambiare il groove che non fare l'opposto. Lui è molto aperto e anche molto critico con se stesso.

"Sleepless Empire" parla della tecnologia che ha invaso le nostre vite. Sembra però che negli ultimi tempi inizino a esserci dei segnali di "ribellione", sono diverse le voci che iniziano ad alzarsi sul fatto che bisognerebbe limitarla in qualche modo. Voi come la vedete?

Cristina Scabbia: In realtà è un discorso veramente ampissimo che tocca troppe cose per condensare una risposta in pochi minuti. La nostra non è una critica alla società, è la fotografia di una naturale evoluzione che non si può fermare, è inutile dire che una volta era meglio: erano altri tempi, altre mentalità. Senza contare che molte cose che ci sono adesso sono molto meglio del passato. Il poter fare facilmente un'intervista con l'Australia è un vantaggio come è un vantaggio che la tua musica possa essere ascoltata in India attraverso le piattaforme musicali. Semplicemente forse bisognerebbe trovare un bilanciamento tra quello che c'è a livello di social, a livello di tecnologia e la vita vera.

Alla fine molti vivono una realtà filtrata attraverso uno schermo...

© Cunene

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Cristina Scabbia: Attraverso i social ognuno mostra il meglio di sé e quindi per le nuove generazioni è un problema perché loro lo prendono come metro di paragone e pensano che la loro vita non sia abbastanza, che non siano abbastanza belli, ricchi, famosi. Forse per gli adulti, che hanno vissuto anche un periodo in cui tutto questo non c'era, scindere le cose è più facile, ma per molti di quelli nati con il cellulare in mano la vita è lì dentro.

Andrea Ferro: Un problema grosso non è la tecnologia in sé stessa ma è la velocità in cui si è sviluppata, che di fatto ha impedito che si mettesse alcun tipo di regola. Ormai è tutto talmente veloce che non si riescono a porre limiti e ognuno fa quello che vuole e spesso poi si creano situazioni dove il vero e il falso si confondono. Per quanto io sia sempre stata persona alternativa e delle regole me ne sia sempre fregato relativamente, però purtroppo alcune regole servono per andare avanti.

Cristina Scabbia: Sì, è tutto veloce, è tutto amplificato. I social poi hanno dato a tutti la possibilità di poter parlare, che da un lato è giusto e positivo ma nello stesso tempo ha dato l'opportunità a persone di parlare di argomenti di cui non sanno niente, avendo lo stesso peso di altre persone che sarebbero invece preparate. E nel contempo è emersa una censura incredibile, perché se non la pensi in un certo modo non puoi esprimere. Una volta c'era più dibattito, si discuteva, si poteva essere anche contrari ad alcune cose, si parlava per arrivare a un punto comune, invece adesso bisogna per forza incanalarsi in alcuni argomenti perché altrimenti si viene tagliati fuori. È il risvolto brutto di questa società così tecnologica, perché si è proprio persa la dimensione della realtà.

Negli ultimi anni, a livello mainstream, il rock ha sempre meno cittadinanza. Il metal quindi è sempre più nella sua bolla. Com'è lo stato di salute all'interno di quella bolla? 

Andrea Ferro: Nei classici media, televisione, radio, o podcast adesso, c'è più sicuramente un interesse verso altri tipi di musica che non sono neanche più il pop, ma proprio quasi solo rap. Anche se in realtà secondo me è proprio l'hip hop a essere morto, nel senso che c'è tantissimo gente che rappa, ma della cultura hip hop ormai se ne sono dimenticati tutti. Per il metal il discorso è diverso. Eccetto particolari momenti storici o legati ad artisti specifici, alla fine dei conti è sempre stato un genere underground. Il metal non sarà mai mainstream, ma forse è meglio così, perché probabilmente verrebbe in qualche modo rovinato. Nonostante questa gente che va poi a vedere i concerti ce n'è sempre, i grandi gruppi tirano sempre, riempiono sempre i posti. Quindi è un mondo che vive anche al di fuori del mainstream, senza bisogno del mainstream, però è chiaro che ogni tanto farebbe anche piacere vedere che non esiste solo un genere di musica. Ma ormai anche in questo campo, anche se i grandi appassionati esisteranno sempre, c'è un dominio dei social e della musica pensata per quella funzione.

È una situazione soprattutto italiana?

Andrea Ferro: In territori come quello nordamericano il metal e il rock sono trattati allo stesso livello degli altri generi musicali, quindi viene data la stessa opportunità: si entra in un supermercato e si possono ascoltare gli Slayer senza problemi e la casalinga non inorridisce, proprio perché c'è una cultura diversa. Altrove il metal non viene associato a qualcosa di negativo, qualcosa di satanico, ma è semplicemente un genere musicale suonato da persone con strumenti veri e può piacere o può non piacere come tutti i generi musicali in questo mondo. Però credo che nel sottobosco ci siano vari artisti che fanno una musica totalmente diversa ma alla fine il metal lo hanno ascoltato. È un genere da cui, se sei un appassionato di musica, sei passato per forza, poi dopo ti puoi essere spostato su altre cose, però comunque nella scuola di tutti c'è anche il metal, il rock. 

Cristina Scabbia: In tantissime occasioni magari ci capita di incrociare degli artisti così che poi passano e ci fanno le corna. Ultimamente sotto un nostro post di un tour che abbiamo fatto in Inghilterra è apparso un messaggio di Tiziano Ferro che commentava dicendo che doveva assolutamente venire a vederci a Manchester e ci siamo anche scritti perché voleva venire al concerto. Anche Max Pezzali è  un altro super rockettaro e quando abbiamo suonato al primo maggio a Roma c'era Noemi che ballava mentre suonavamo. Alla fine è un genere da cui sono passati tutti.

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