LA RECENSIONE

Lady Gaga in "Joanne" si spoglia di tutte le maschere

Niente effetti speciali nel nuovo album della cantante: emoziona con la voce e un pugno di canzoni di alto livello

di Massimo Longoni
21 Ott 2016 - 10:21

Sono passati tre anni da "Artpop" e ora lo si può dire: quella Lady Gaga non esiste più. In fondo era già tutto nel titolo del suo secondo album, quando il titolo del primo "The Fame", dopo i numeri da record fatti e l'esplosione del fenomeno, era stato "corretto" in "The Fame Monster". Il successo è stato per lei un mostro che ha rischiato di inghiottirla viva. E così sarebbe accaduto se non ci fosse stato alla base un talento robusto e personalità. La delusione di "Artpop", un album pasticciato e bloccato in un limbo tra passato e futuro, è stata perciò subito accantonata gettandosi a capofitto nel disco swing e nel tour con Tony Bennett. Non un capriccio o una parentesi giocosa, ma un modo intelligente per dimostrare agli scettici le proprie qualità di artista una volta tolta la maschera della popstar e al tempo stesso riconnettersi con le proprie radici.

Solo in questo modo si è potuti arrivare a "Joanne". Un lavoro piantato con i piedi per terra, vario ma al tempo stesso coeso come nessun altro album tra i precedenti di Gaga. Che anche se porta avanti il suo nome d'arte mette in modo emblematico un pezzo del suo vero io nel titolo. L’artista che si presenta al pubblico oggi non più quella che girava sulle impossibili scarpe di Alexander McQueen o si presentava indossando un vestito di carne cruda. Alla carne oggi Lady Gaga preferisce il fegato, quello che ci vuole per sfornare un album come questo, dove si mette a nudo molto più di quanto abbia fatto con le provocazioni del passato. Via i tastieroni, via gli auto-tune e gli effetti sulla voce, via produzioni pompose e magniloquenti. Ma anche trucchi, parrucchi e suppellettili varie. Cosa rimane? La sostanza di una scrittura felicissima, dalla fortissima anima pop, con ritornelli che avvolgono e si insinuano nella testa, melodie che se costruite con arrangiamenti plasticosi sarebbero perfette per scalare le classifiche.

Ma questa volta Gaga si è affidata a Mark Ronson, uno che ha fatto diventare una stella Amy Wineouse rispolverando il soul degli anni 60, e con il suo album "Uptown Special" ha ripassato tutta la musica dei club newyorchesi dai 70 ai 90. Così la techno e l'Edm cedono il passo a una disco potente e travolgente, dove però le chitarre e una sezione ritmica calda e pulsante assumono un ruolo maiuscolo. Ecco allora l'opener "Diamond Heart", con armonie che riportano a qualche momento di "Born This Way", e la stratificata "John Wayne", due canzoni alle quali Josh Homme dei Queen Of The Stone Age ha contribuito a dare la scossa. C'è il reggae di "Dancin' In Circles" con lo zampino di Beck, il ritmo di "A-YO", tra clap e sitar.

E poi ci sono le ballate, dove la svolta di Gaga diventa ancora più evidente. Qui gli arrangiamenti si scarnificano ancora di più per poggiare tutto sulla sua voce, mai così espressiva. L’acustica title track, dal sapore country, "Million Reasons", costruita su pianoforte, chitarra e voce, con un ritornello assassino. E l’altissima chiusura di "Angel Down", eterea e intensa al tempo stesso, che potrebbe benissimo stare in un album di Anna Calvi. Ci sono poi le collaborazioni. Quella con Father John Misty in "Sinner's Prayer" esplora felicemente solari atmosfere country western, mentre quella con Florence Welch di Florence and the Machine appare un’occasione sprecata: le due voci girano a meraviglia ma il funky suadente della pur piacevole "Hey Girl" nel complesso non riesce a spiccare.

Paradossalmente uno dei momenti più deboli del disco finisce con l'essere "Perfect Illusion", il vero anello di congiunzione tra la Gaga di ieri e quella di oggi. Forse proprio per questo scelta come primo singolo ma con il rischio di fuorviare. Mentre "Come To Mama" viene azzoppata da un ritornello sempliciotto nel suo ricalcare melodie in stile Supremes. Ma a risollevare la media ci sono i due extra della deluxe version, "Grigio Girls" e "Just Another Day", per nulla riempitivi. 

Lady Gaga è cresciuta, molto. Lasciandosi alle spalle quello che aveva costruito per mettersi in una posizione dove finalmente possa essere completamente a proprio agio con se stessa. La vera incognita è: dove è ora c’è un pubblico per lei? Di sicuro meriterebbe che ci fosse.

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