UN EVENTO IN STREAMING PER RICORDARLO

L'amore ci farà a pezzi: 40 anni fa moriva Ian Curtis e nasceva la leggenda dei Joy Division

Il cantante si suicidò a 23 anni e la band, con soli due album all'attivo, è diventata una delle più influenti della musica

di Luca Freddi
18 Mag 2020 - 12:35

Il 18 maggio 1980 Ian Curtis si impicca nella sua casa di Manchester. A 23 anni mette fine alla sua vita tra inquietudine, male di vivere e medicinali per combattere l'epilessia, una luce abbagliante sulla musica e un'oscurità dentro. Con i Joy Division incide due album, cupi e ossessivi come le angosce senza rimedio. Il giorno dopo sarebbe dovuto partire per il primo tour americano della band, tra un matrimonio disintegrato e una struggente nuova vicenda amorosa. Invece scrive un biglietto: “In questo istante vorrei essere morto. Non riesco più a lottare". "Love Will Tear Us Apart" è uno degli ultimi brani dei Joy Division in cui è condensata tutta la sua fragilità ed è la frase incisa sulla sua lapide.

Ian Curtis e Joy Division, le immagini di un mito

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La passione adolescenziale di Ian Curtis per la musica aveva come numi tutelari Jim Morrison, David Bowie e i Sex Pistols. Proprio dopo un concerto di Johnny Rotten e soci a Manchester nel 1976, il ragazzo decide con alcuni amici di formare una band. Siamo in pieno fermento punk, e il quartetto guarda sia agli artefici di "Anarchy in the Uk" che alla decadenza di Bowie. E proprio a un suo brano si ispirano per il primo nome della band, Warsaw, parola adatta a fotografare il sound freddo e asettico che traspare dalle loro prime composizioni. Poi verso la fine del 1977 si ribattezzano Joy Division, come la sezione che ospitava le prostitute destinate ai gerarchi nazisti nei lager. “Unknown Pleasures”, il disco di debutto, viene pubblicato il 15 giugno 1979. La voce baritonale e profonda di Curtis aveva echi di tragica sofferenza e contribuiva alla particolare atmosfera inquietante delle canzoni. Canzoni lente, cupe, ossessive, ma con un’innegabile potenziale melodico (grazie al chitarrista Bernard Sumner).

Il disco diventerà una futura pietra miliare del post punk, ma i problemi di Ian erano già molti. In quegli anni inizia a soffrire di epilessia, e le potenti medicine che era costretto a prendere non aiutavano certo la stabilità del suo umore. Le crisi avvenivano con cadenza regolare e a volte anche sul palco. I fan erano arrivati ad aspettarselo e le vedevano come un elemento che aggiungeva fascino al concerto. Intanto nel 1976, a soli 19 anni, aveva sposato Deborah Woodruff: dopo tre anni era nata la piccola Natalie e poco dopo aveva inizato una relazione extraconiugale con Annik Honorè, sua fan e giornalista. Tutti elementi determinanti per la sua fine.

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Il secondo e ultimo disco dei Joy Division, "Closer", esce esattamente a due mesi di distanza dalla morte di Ian. Non è solo il disco postumo o il canto del cigno di un artista scomparso troppo prematuramente: è un viaggio nei meandri della sofferenza, dove la speranza è sepolta sotto metri di terra, claustrofobico, allucinante, lacerante. Un testamento spirituale arrivato prima di vedere la sua band consacrata tra i grandi del rock. Due dischi tra parole e musica che consegnarono Curtis e i Joy Division nella leggenda, un'eredità lasciata alla scena new wave di fine anni 70. “Ian ha creato una meravigliosa testimonianza di come si sentiva al momento: impaurito ma potente”, affermò in seguito il bassista Peter Hook.
 

Con i Joy Division, Ian aveva finalmente conosciuto il sapore del successo grazie al singolo "Love Will Tear Us Apart", che aveva scritto per raccontare la fine del suo matrimonio con Deborah e che grazie alla sua orecchiabilità era entrato in classifica. Fu la stessa Deborah a trovare Ian appeso al soffitto della cucina nella sua casa di Macclesfield, un sobborgo di Manchester. Era la mattina del 18 maggio 1980, una domenica. "Non riesco ancora a perdonarlo, quelle cose avrebbe dovuto dirmele quando era il momento”, disse ricordando il fastidio provato per la popolarità di quella canzone. Love will tear us apart.

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LEGGENDA, ISPIRAZIONE E CELEBRAZIONE - È enorme l’alone di leggenda che circola ancora oggi intorno al suo nome, vissuto da diverse generazioni di fan. I Joy Division sono divenuti mito non per l’effetto massmediatico del suicidio di Ian ma perché in pochi son stati capaci di mettere in musica la fragilità dell’uomo in un modo così chiaro e disperato. Dopo pochi mesi dalla morte del frontman, esordiscono gli allora sconosciuti U2 con l'album "Boy" (prodotto da quel Martin Hannett, già dietro al suono spettrale dei Joy Division) e dedicano proprio a Ian Curtis il brano “A day without me". Dopo un anno di pausa Peter Hook, Stephen Morris e Bernard Sumner, i tre ex componenti dei Joy Division, fonderanno i New Order, diventando un gruppo elettro-pop fondamentale. Ma questa è un'altra storia. Negli anni, tanti artisti hanno celebrato il talento di Ian Curtis, Nine Inch Nails, Radiohead, the Killers, Arcade Fire fino alla riscoperta più recente di quella new wave attraverso nomi come Interpol ed Editors. Anni fa la moglie Deborah ha pubblicato un racconto dei suoi anni col marito, “Touching from a Distance”, da cui Anton Corbijn ha tratto il film “Control”, uscito nel 2007.

UN EVENTO IN STREAMING - Per ricordare Ian Curtis gli ex-compagni di band Bernard Sumner e Stephen Morris prenderanno parte a un evento in streaming dedicato alla memoria del cantante, "Moving Through The Silence: Celebrating The Life And The Legacy Of Ian Curtis". Oltre alle interviste a Sumner e Morris, sono previste anche quelle al leader dei Killers Brandon Flowers, all'attrice Maxine Peake e al produttore Mark Reeder. I gruppi che si esibiranno dal vivo saranno gli Elbow, LoneLady, i Lottery Winners e i Kodaline. L'evento servirà a raccogliere fondi per il centro di salute mentale di Manchester.

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