I Led Zeppelin non pubblicarono nemmeno un singolo, fedeli alla filosofia dell'album. Ma nell'era di Spotify suggeriamo 10 canzoni, tra le meno note, che vi porteranno nel mondo della band di Page e Plant
di Andrea Saronni© dal-web
Nel "Celebration Day" (ehm) dei loro 50 anni insieme, sembra quasi di compiere un atto di spregio verso i Led Zeppelin parlando di streaming, download, mp3, robe digitali. Loro, draghi dell’età d’oro del vinile, monumenti che già in piena attività rifiutarono sdegnosamente non si dice il file, ma proprio il 45 giri, il singolo, la logica della canzone buttata sul mercato per fare il bottino. Per il Martello degli Dei, la casa della loro musica era l’album, concepito passo per passo e pezzo per pezzo, e pazienza per gli occasionali se dal grande giro delle radio o dei live qualcosa di prezioso rimaneva nell’angolo del magazzino. Ma un po’ di quella merce lì è preziosa: e per il mezzo secolo Led Zep che scocca nell’era di Spotify & iTunes, ci permettiamo di suggerire a tutti coloro che sono ancora fuori dal cancello dei fedelissimi 10 ascolti - consiglieremmo direttamente 10 acquisti - di una parte importante dell’inestimabile tesoro lasciatoci da Page, Plant, Jones & Bonham. Dedicato soprattutto ai più giovani, a quelli che - per questioni generazionali - non hanno la cultura dell’ LP, che non hanno provato l’esperienza di andare al negozietto dell’usato e comprare "Led Zeppelin IV", e decollare col dirigibile.
1 – In the Light (album: Physical Graffiti)
Meglio inserire subito quello che da molti fan dei LZ viene ritenuto un capolavoro assoluto, una mini-opera che può rappresentare il Bignami degli enormi talenti del gruppo. Bisognerebbe ascoltarla in un campo immerso nella nebbia, e elevarsi dal grigio e dal peso delle cose che schiacciano venendo raggiunti dai raggi del sole che finalmente bucano la coltre, esattamente come il brano passa dalla cupa, inquietante intro di tastiera e voce e – passando per un classico groove della casa – finisce, dopo 8 minuti che ti staccano da ciò che ti circonda - a sciogliersi in un riff gioioso, ascendente, che spinge verso la luce, perché “everybody needs the light”. Qualcuno l’ha definita una seconda parte di Stairway to Heaven, per qualcuno è pure meglio.
2 - Friends (album: Led Zeppelin III)
Tratta dall’album a sua volta più “underrated” del periodo d’oro dei Led Zep, “Friends” è un manifesto meno letto di altri del meraviglioso melting pot tra country, folk, echi di musiche lontane, psichedelia che solo gli “etnici” Page e Plant sapevano mettere insieme. Sulla ritmata chitarra acustica, i magnifici miagolii del leone Plant che invitano all’amicizia, alla fratellanza, allo stare insieme lasciandosi andare a un sorriso e non solo. “Is very eaasy, is very eaaasy”, ci ricorda insistentemente prima di congedarsi. 3 – Royal Orleans (album: Presence) Quando quattro sono bravi, ma bravi bravi possono fare tutto: per esempio, in pieno 1976 e con nuovi ritmi in giro per I club, si può anche fare un gran pezzo funk e vestirlo da rock tipico della ditta. Sul testo e sul significato, meglio soprassedere: trattasi di storie di alberghi e di travestiti. E meno male, non è che tutto deve avere un significato. Senza nulla togliere al leone Robert e al suo socio Jimmy, a prendersi la scena è la sezione ritmica.
4 - Misty Mountain Hop (album: Led Zeppelin IV)
Nessuno può discutere anche in stato etilico dell’enorme importanza e apporto musicale fornito da John Paul Jones: esempi se ne trovano a bizzeffe anche nei brani più prestigiosi, e il tocco che rende speciale questo magnifico rock è il giro di tastiera che anticipa e accompagna l’ipnotico riff di tre accordi, che insieme al cantato di Plant rende davvero mistico l’Hop della Montagna. In uno dei pochissimi singoli pubblicati dalla Atlantic, questo era un lato B (di Black Dog). Roba da ridere da qui ai prossimi 50 anni.
5 – Gallows Pole (album: Led Zeppelin III)
Su questo brano, originariamente un folk tradizionale anglosassone, si può effettuare un esperimento su se stessi o sugli altri: mettersi seduti, sedia, poltrona, divano, belli composti e mani sulle ginocchia, e fare partire la musica. Se si riesce a rimanere fermi e a non muovere un muscolo per i seguenti 4 minuti e 57 secondi, o ci sono dei problemi neuromotori o al contrario esistono delle capacità non comuni di estraniamento dal ritmo e dalle scosse adrenaliniche. Una cavalcata irresistibile, magnificamente resa anche nell’ “Unledded” registrato per Mtv nei ’90 da Page e Plant.
6 – Sick Again (album: Physical Graffiti)
E’ la degna chiusura dell’album più heavy (e grande) dei Led Zeppelin: quando decidevano di essere pesanti nel suono, nel gesto, nelle parole, nel significato, non c’era nessuno che potesse reggerli. Plant canta veramente da malato (di cose proibite) cancellando qualsiasi fighetto suo omologo, le schitarrate e i botti di cassa e piatti che lo sostengono spingono a terra chiunque provi a opporsi. Ma perché opporsi, a un masterpiece dei ’70 rock come questo?
7 – The Ocean (album: Houses of the Holy)
“The Ocean”, proposto comunque in molte scalette dei live, è una delle tante perle della collana Zeppelin che si potrebbe provocatoriamente spiegare così: “Facile essere Page, quando hai Bonham”. Perché i soliti sferzanti riff sono sostenuti da un tappeto delle drums tipo piloni del viadotto autostradale, con tanto di repentino cambio di tempo a tre quarti. Un pezzo che non passa mai alla radio: perché se passasse, anche non conoscendolo, basterebbero i primi tre secondi dell’attacco per esclamare "Oh, i Led Zeppelin".
8 - Out on The Tiles (album: Led Zeppelin III)
Nel piacevole bagno caldo delle atmosfere più acustiche, morbide del Terzo, una veloce doccetta fredda da questa canzone con tutte le sue cosine a posto, strofa, strofa, ritornello orecchiabile, strofa, ritornello, assolo, ultimo ritornello e vai con gli acutissimi “uh yeah” finali su cui lasciarsi andare ad libitum sull’insistito chitarristico finale. Il punto è che tutto viene fatto sullo standard dei Led Zeppelin.
9 – Fool in The Rain (album: In Through the Out Door)
Gli ultimi Led Zeppelin, schiacciati da dipendenze, anni, tragedie, fatica, stavano cercando di capire che strada imboccare nel secondo decennio di esistenza nell’album che purtroppo è stato l’ultima prova di studio insieme. Qui torna il concetto di Royal Orleans: quando sei un fuoriclasse, puoi fare tutto, compreso un bel pezzo pop subito identificabile con la band e che poi, verso la fine, ti diverti a trasformare in qualcosa di completamente inedito, in questo caso una samba. E chi se lo aspettava?
10 – In The Evening (album: In Through the Out Door)
Sempre all’interno del canto del cigno, un’ideale gemella di “In The Light”, dove la luce lascia il posto alla sera, quasi un presagio a dispetto del tono poi molto energico della canzone, che in linea con il momento storico della musica pop e rock (siamo agli albori degli ’80) vede l’entrata in scena, grazie a John Paul Jones, dei sintetizzatori, che sostengono un classico e trascinante schema Page-Plant, con Robert giunto a una piena, totale potenza vocale. Chissà quali strade avrebbero potuto percorrere i Led Zeppelin della maturità: invece era sera, e nel 1980, con la morte di “Bonzo” Bonham, sarebbe arrivata la notte. Interrotta poche e sagge volte, reunion col contagocce, giusto così. La ricetta perfetta era composta da quattro ingredienti, surrogati non ce ne sono: e tanto, alla fine, la verità è che dopo 50 anni siamo ancora qui che ne parliamo.