PRIMA ASSOLUTA AL GRASSI DI MILANO

Lino Guanciale e Claudio Longhi portano in scena il Cile di Pinochet tra pregiudizi, barriere e meschinità

Dall'11 gennaio al 12 febbraio sul palco del Teatro Grassi di Milano "Ho paura torero" di Pedro Lemebel, scrittore e artista cileno di culto, nella trasposizione teatrale di Alejandro Tantanian

03 Gen 2024 - 12:56
 © Masiar Pasquali

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Lino Guanciale e Claudio Longhi portano in scena il Cile di Pedro Lemebel, scrittore e artista di culto vissuto fra 1952 e il 2015 a Santiago, con "Ho paura torero" nella trasposizione teatrale di Alejandro Tantanian. Una prima assoluta al Grassi di Milano, dall'11 gennaio all'11 febbraio, che è un fiore all'occhiello e una nuovissima produzione del Piccolo Teatro di Milano. Un fiore all'occhiello perché porta in palcoscenico lo struggente e visionario capolavoro di questo romanziere cileno pungente e strenuo difensore dei diritti di ogni essere umano, ma soprattutto cantore di tutti quelli che non hanno mai avuto una voce.

© Tgcom24

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Canzoni e musiche

  E i canti fanno da leit motiv alla messinscena di questo spettacolo, che, accanto a Lino Guanciale, nei panni della Fata dell’angolo, a Francesco Centorame in quelli di Carlos, a Mario Pirrello (il Generale Augusto Pinochet) e ad Arianna Scommegna (Doña Lucia, sua moglie), vede sul palco anche Daniele Cavone Felicioni, Michele Dell’Utri, Diana Manea, Giulia Trivero. "Ho paura torero", infatti, è anche un racconto-canzone, un mosaico di melodie, strofe, ritornelli “leggeri”, che risuonano dalla radio e amplificano il dirompente, viscerale afflato popolare che lega l’autore, Pedro Lemebel, al popolo cileno, con la forza di chi è da sempre vissuto ai margini, come rappresentante di una minoranza etnica, i Mapuche, come omosessuale e come travestito. 

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I protagonisti

  Gli eventi si svolgono tra gli anni Settanta e Ottanta a ridosso dell’attentato a Pinochet del settembre 1986, destinato, nonostante il fallimento, ad aprire una crepa profonda nella dittatura. I protagonisti di questo murale rutilante di storie incrociate, doloroso e appassionato percorso di formazione, sono la Fata dell’angolo, un travestito passionale e canterino, personaggio di infinita profondità, il giovane e affascinante studente Carlos, militante del Fronte patriottico Manuel Rodríguez, il generale Augusto José Ramón Pinochet Ugarte e la sua fedelissima donna Lucia, che, persi nel coro scomposto di una città, Santiago del Cile, indolente e febbricitante, danzano una quadriglia grottesca e chiassosa, intrecciando le loro storie intime e personali con gli eventi politici.

Passo a due  Protetta dalle pareti della sua casetta macilenta, unico amore della vita, sospirando sulle note delle canzoni d’amore trasmesse dalla radio e interrotte dalla voce di Sergio Campos e dai comunicati di Radio Cooperativa la Fata dell'angolo incrocia il suo destino con quello di Carlos, le cui azioni e pensieri vengono infiammati dall'utopia, dall’idealismo, dalla strenua opposizione al regime di Pinochet, e il quale affascinato dalla Fata ne trasforma il ‘nido’ in base e nascondiglio per le riunioni clandestine del Fronte patriottico Manuel Rodríguez. 

Un percorso di formazione

 L’appassionato, straziante passo a due, tra la Fata e Carlos, si trasforma, giorno dopo giorno, in un percorso di formazione per entrambi, nell'animo sensibile e gentile della Fata, dove c’erano solo nostalgici vagheggiamenti e malinconici sogni, prende forma una sorta di coscienza politica e dove quest’ultima regnava indiscussa, ovvero nell'indomito spirito del giovane Carlos, fiorisce, timida, un’educazione sentimentale.

© Masiar Pasquali

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Il passo a due si fa quadriglia, intrecciandosi alle vicende del dittatore e di Doña Lucia. Pinochet, assillato dalla moglie petulante e logorroica, tormentato da incubi d’infanzia, in una trama onirica che attraversa tutto il racconto, tra allucinazioni e risvegli, va e viene dal proprio retiro di Cajón del Maipo, che domina Santiago dall’alto. Finché un giorno, lungo la strada rovente che scende verso la capitale, il suo cammino si incrocia drammaticamente con quello di Carlos.

Santiago e Lemebel

  Intorno, fluttua un caleidoscopio di personaggi: le amiche della Fata: la Lupe, la Rana; le ricche clienti, come Doña Catita, mogli di generali asserragliate in un’altra Santiago, che la Fata può solo sbirciare dai finestrini dell’autobus quando si reca a consegnare le tovaglie ricamate su commissione; Laura, la compagna di università (e di lotta) di Carlos; la radio, vero e proprio personaggio più che semplice paesaggio sonoro. Un paese insomma sull'orlo del baratro, ma vivo e vibrante, narrato col linguaggio gioioso e meravigliosamente sovversivo di un autore come Pedro Lemebel, il cui legame con la "gente" del Cile è stato talmente forte e radicato al punto che, quando nel 2019 esplosero nel Paese una serie di manifestazioni di protesa, l’Estallido social (le manifestazioni generate dall’aumento del prezzo del biglietto della metro, che aprirono la strada verso un progetto di revisione della Costituzione, poi decaduto), benché fosse già morto da quattro anni, il volto e le parole di Lemebel riapparvero in quelle strade infiammate dalle proteste e tornarono ad affiancare i cileni, nei murales, nelle scritte, nei cartelli.

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