La band racconta il nuovo album arrivato a sei anni dal precedente con in mezzo Sanremo, una crisi creativa e altri progetti personali. L'intervista a Tgcom24
di Luca Freddi© Stefano Bazzano
Scanzonato e politico, è tornato Lo Stato Sociale dopo un silenzio discografico lungo sei anni, intervallato da due edizioni di Sanremo, una raccolta, concerti e altri progetti personali. Con "Stupido Sexy Futuro" il collettivo bolognese (Lodo Guenzi, Alberto "Albi" Cazzola, Alberto "Bebo" Guidetti, Francesco "Checco" Draicchio, Enrico "Carota" Roberto) torna a quelle origini che avevano caratterizzato i loro primi dischi, indipendenti e fedeli alla linea tra invettive e analisi. E raccontano a Tgcom24: "Da qui inizia il secondo tempo della nostra vita artistica". E' un disco che "guarda al futuro" e racchiude politico e sentimentale, intimo e sociale. Per farlo hanno chiamato anche un po' di amici: Management, CIMINI, Drefgold, Mobrici, Naska e Vasco Brondi: "Volevamo che fossero le collaborazioni più naturali possibili".
Nel disco, Lo Stato Sociale parla di disuguaglianza sociale, condanna del capitalismo, mercificazione del mercato musicale e dell'arte in generale; lotta al razzismo, all'omofobia, al sessismo e alle altre forme di intolleranza; di un mondo fatto di guerre, di emergenze climatiche; e ancora di crisi economica, disoccupazione, corruzione, la violazione dei diritti lavorativi e dei diritti umani.
“Stupido Sexy Futuro” è stato anticipato da “L’atteso tour di anteprima di un disco bellissimo”: 11 date sold out nei club di tutta Italia, che hanno riportato Lo Stato Sociale alla loro dimensione preferita e originale, che ha permesso ai fan di ascoltare un assaggio dei brani dell’album. Presto la band annuncerà un lungo tour estivo.
Sono passati sei anni dall'ultimo disco. Cos'è successo in questo tempo a Lo Stato Sociale? Perché l'album non è arrivato prima e perché ora?
E' una domanda giusta che ci siamo fatti anche noi. In realtà non siamo mai stati fermi e abbiamo fatto un sacco di cose, quasi mai insieme però abbiamo fatto tante cose. Certo, abbiamo fatto dei Sanremo insieme, come della radio, abbiamo fatto insieme qualche tour, poi abbiamo pubblicato un libro e un disco nel 2021, confezionato come disco, che però in realtà era una raccolta. Dopo la prima notorietà del 2018, il percorso di Lodo all'interno del mondo del cinema ovviamente ha creata una difficoltà nel programmare quello che è il nostro lavoro. Per noi la band è fatta di cinque persone che prima stanno bene insieme al bar, poi fanno la musica. Non avendo una leadership o una progettualità corporate, abbiamo bisogno anche di star bene tra di noi. E quando siam stati un po' peggio era difficile fare qualcosa. Allora prima di metterci a lavorare a un disco abbiamo guardato un po' i nostri rapporti personali, ci siamo rimessi un po' in ordine e solo poi abbiamo anche incominciato a pensare a nuova musica. E lavorare a questo disco è stato anche un po' corroborante per rimettere insieme tutto quanto.
Ci raccontate cosa significa il titolo che avete scelto?
E' una citazione dei Simpson. In una puntata, Homer sta sciando e vede Flanders in tuta attillata e mentre si sta concentrando a scendere sulla neve con difficoltà pensa: "Stupido sexy Flander". Noi abbiamo riportato questa battuta a "Stupido sexy futuro" perché pensiamo che questo disco guardi al futuro, un primo passo di una nuova fase della nostra carriera. I futuro è molto attraente dato che ti porta ad andare avanti e allo stesso tempo è molto deludente. Questo perché il presente è un futuro che non ce l'ha fatta, dato che le aspettative che avevi sono state deluse, anche in parte. C'è sempre infatti un briciolo di delusione e stupidità e di qualcosa che non ha funzionato. Quando abbiamo iniziato a fare questo mestiere un po' l'idea era di cambiare il mondo ma poi ci siamo accorti che non è successo, non ha funzionato, non ce l'abbiamo fatta e anzi le cose sono peggiorate assai. Il futuro quindi sarà sexy, perché noi guardiamo comunque al futuro, ma abbiamo la consapevolezza che sarà anche molto stupido.
Questo è un disco della maturità artistica, che guarda al proprio percorso, e contemporaneamente traccia una linea. Cosa siete diventati oggi? Cosa succede da oggi come band?
Ci sono cose che ti cambiano. La notorietà è piacevole e va gestita e ti toglie spazio alle prospettive. Noi siamo un gruppo di amici che guarda la vita in faccia e dice "proviamoci": posso succedere delle cose e vediamo se succedono. Poi però ti accorgi magari che non è proprio il tuo ambito e che non è la cosa che sai fare meglio. Allora lì ti fermi un attimo, ti guardi e ti chiedi "cos'è che sappiamo fare?" E torni a fare le cose che ti danno più sicurezza, che ti danno anche più soddisfazione e cerchi di ricordarti qual era il movente delle cose che facevi. Cerchi di ricordarti come facevi le cose quando eri mosso dalla passione e non dal condizionamento di tutto quello che c'è attorno. E questo disco è fatto e scritto in questo modo. E ha quell'intento. Oggi devi avere una scrittura standardizzata e che rientri nei canoni giusti per entrare dentro quei contesti lì che conosciamo tutti. Lo standard è una compressione totale di tutto, come un quadrato medio che elimina gli alti e i bassi e che deve arrivare semplice, facile, efficace all'ascoltatore. Noi siamo diversi, abbiamo una scrittura super verbosa, e viviamo di grandi alti, grandi bassi. E così ci siamo ricordati di essere fondamentalmente degli artigiani indipendenti e quindi l'abbiamo lavorato come artigiani indipendenti questo disco sia nei suoni che nelle scelte dei contenuti.
© Ufficio stampa
Cosa è stato per voi Sanremo e cosa ha rappresentato? Come vedete questo evento che ha inglobato molti protagonisti della scena underground italiana, estendendosi così tanto che troviamo gli stessi sia all'Ariston che sul palco del Primo Maggio, che un tempo era quasi un contro-festival. Lo scenario si confonde. Cos'è cambiato? Sono cambiati gli artisti?
Sanremo ora è diventato un riferimento. In un momento storico come questo in cui per raggiungere il pubblico hai a disposizione solo il pompare notorietà, quel posto ti mette davanti a milioni di persone e quindi effettivamente ci guadagni. Però non è neanche un modo rivoluzionario per ampliare il proprio pubblico tanto è vero che a noi, come ad altri, non è successo in maniera permanente. Discorso a parte per gente come Colapesce-Dimartino o La Rappresentante di Lista. Sanremo è uno spartiacque, cioè o giochi per davvero quella partita, e allora incassi, oppure se vai lì con il tuo modo di essere è davvero complesso e diventa solo una vetrina. Sicuramente è un modo come un altro per far parlare di te. Una volta non lo si utilizzava in quel modo. E' rimasto l'unico posto della musica nella televisione. Ma non ha segnato il passo su una scena o modificato in qualche modo la cultura in Italia. Ha solo dato uno strumento accessibile anche a chi prima non lo voleva usare o non ne aveva il bisogno, perché bastava fare duecento date di tour.
Avete portato diversi amici del disco, di cui parlate in "Tutti i miei amici". Ci raccontate il vostro rapporto con loro? Dà l'idea di comunità, di connessioni e collegamenti in una scena musicale
Volevamo mettere un po' di collaborazioni in questo disco, però volevamo che fossero le cose più naturali possibili. Tutte le collaborazioni sono nate da un rapporto di stima e amicizia precedente e la condivisione di spazi e di palchi negli anni. In quella canzone c'è un racconto di quello che è che è stato il nostro percorso, il nostro inteso come scena. E di quel tipo di sentimento che ti prende quando fai questo lavoro, delle aspettative che hai e di cosa vuol dire crescere e diventare grandi nel mondo giocoso della musica. In realtà c'è chi si perde (anche noi ci siamo persi) o c'è chi si perde e non si ritrova. Poi c'è chi cambia vita, c'è chi ci lascia per sfiga e c'è chi continua a fare questo lavoro magari fingendo di stare bene, sorridendo per contratto, cosa che abbiamo fatto anche noi. In "Tutti i miei amici" c'è il racconto di questi percorsi, di come sono cambiate le cose.