Massimo Ranieri: "Con i maestri del jazz canto la Napoli 'americana' degli anni 50"
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E' uscito "Malia", dove l'artista partenopeo reinterpreta in chiave jazz classici come "Tu vo fa l'americano" e "Resta cu mme". Tra i collaboratori Enrico Rava e Giovanni di Battista, produce Mauro Pagani
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Un viaggio nella Napoli musicale degli 50, quella capace di assorbire l'influenza americana e restituirla in una serie di gioielli senza tempo. E' quello che ha fatto Massimo Ranieri in "Malia", il nuovo album realizzato in collaborazione con Mauro Pagani. Raffinati arrangiamenti jazz con alcuni dei mostri sacri della scena italiana: Enrico Rava, Stefano Di Battista, Rita Marcotulli, Stefano Bagnoli e Riccardo Fioravanti.
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"Ho affrontato questo progetto con grande entusiasmo - racconta Ranieri a Tgcom24 -. Forse il più bel viaggio intrapreso da 15 anni a questa parte: questo disco è stato il più bello, il più eccitante. Perché con esso si apriva una nuova strada". La strada è quella che porta un periodo preciso della Napoli musicale, quello vissuto nel decennio degli anni 50, dove l'influenza degli americani, arrivati con la fine della guerra (e di stanza nel Golfo con la loro portaerei) si fece sentire maggiormente. "Non sono 'canzoni' ma piccole perle - spiega Ranieri -. Questo è un repertorio particolare di un momento preciso. Sono sempre state giudicate piccole canzoni rispetto ai grandi classici. La paura era quella di "ranierizzarle". Volevo mettermi al servizio di queste canzoni quando arrivano negli anni 50, da Ischia, da Capri, dai vari Night napoletani".
Per far questo Ranieri si è affidato a Mauro Pagani, con il quale da 14 anni ha iniziato un lavoro approfondito di ricerca sulla musica napoletana. "Questo album è una sorprendente avventura musicale in un tempo magico delle canzoni napoletane - spiega Pagani -, quando tra la fine degli anni 50 e l'inizio dei 60 quelle melodie già universali si riempirono improvvisamente di estate e di erotismo, di notti e di lune. E si vestirono di un fascino elegante e internazionale".
Quella che viene cantata è l'inconfondibile Napoli "caprese", che diventò in un baleno attraente, seducente, prestigiosa e sexy come una stella del cinema. Una Napoli che cantava e incantava. E che è diventata una immortale Malìa, come suggerisce una parola nascosta tra i testi delle canzoni. Quella Napoli che Pagani e Ranieri hanno deciso di riportare ai giorni nostri in una veste elegante e raffinata che si avvale del linguaggio del jazz declinato da alcuni dei suoi protagonisti nostrani più celebrati. "La decisione di utilizzare il linguaggio jazz è stata assolutamente naturale - spiega il produttore -, e allo stesso tempo Massimo non si è messo a fare il crooner ma ha fatto se stesso. E l'equilibrio ha funzionato, non c'era nulla fuori posto. Al punto che nove dei dodici pezzi sono stati registrati senza nessuna sovraincisione nell'arco di tre giorni".
Nell'album ci sono canzoni di autori non strettamente napoletani, come Fred Bongusto, Domenico Modugno e Renato Rascel. "Napoletani ad honorem - dice Ranieri -. È affascinante sapere che ci sono grandi artisti che hanno voluto cantare in questa lingua". Una lingua, non un dialetto, per una musica che spesso è stata travisata nella sua essenza. "Spesso definiamo la musica napoletana come una bellissima musica popolare - spiega Pagani -. E' un errore molto grave, Napoli è stata la capitale di un regno, chi ha fatto la tradizione erano tutti musicisti colti. Quindi quando è arrivata la musica americana, è stata recepita in maniera colta, con grande sapienza compositiva".
"Malia", presenta un Massimo Ranieri diverso, più contenuto ("avevo sempre paura di strafare, continuavo a chiedere se spingevo troppo o andava bene") e potrebbe non essere un episodio isolato. "Questo è un viaggio nel passato ma anche nel futuro - afferma il cantante -. È bello perché canti ma non canti, mi sono messo al servizio di brani delicati e tenere cantando un po' più interiormente. Sono rimasti fuori tante canzoni che avrei voluto fare. Vedremo...".