UN UOMO "D'ALTRI TEMPI"

Matthew Lee, un uomo "D'altri tempi": "Per il rock'n'roll faccio follie"

Il musicista pesarese pubblica il suo album d'esordio e a Tgcom24 racconta come ha lasciato il conservatorio per dedicare la sua vita a Little Richard e Jerry Lee Lewis

14 Mag 2015 - 21:45

    © ufficio-stampa

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Il suo album si intitola "D'altri tempi" perché il suo mondo musicale guarda al rock'n'roll degli anni 50. Ma in realtà Matthew Lee è molto più moderno di tanti ragazzini che iniziano oggi a fare musica. Formazione classica e anima ribelle, l'artista pesarese per amore della musica di Elvis e Little Richard ha detto addio al conservatorio. "Mi scatenavo nelle aule prova, e mi sbattevano fuori - dice a Tgcom24 -. Il rock'n'roll è libertà".

L'album contiene 12 canzoni (6 in italiano e 6 in inglese), tutte legate da un inconfondibile ritmo rock'n'roll rivisitato in chiave moderna. Tra queste ci sono anche le cover di "Così Celeste" di Zucchero e de "L'isola che non c'è" di Edoardo Bennato, quest'ultima anche in una versione con testo in inglese. Lee sarà in concerto al Memo di Milano il 15 maggio per presentare il suo nuovo lavoro. Un'occasione da non perdere dal momento che dal vivo dà sfogo a tutta la sua carica di performer che esplode in esibizioni travolgenti e spettacolari. Le stesse che hanno conquistato il pubblico francese in una serie di date sold out lo scorso febbraio. Ma se ora Matthew salta sul pianoforte e si scatena come Jerry Lee Lewis, agli inizi la sua strada sembrava dovesse essere molto diversa... "Eh sì - dice - perché studiavo musica classica, al conservatorio di Pesaro. Il problema è che già mi occupavo di cose più moderne perché non è che mi piacesse molto quello che facevo. E così ho iniziato con Clayderman, Morricone. Cose che mi permettevano una certa libertà".

Poi è arrivato il rock'n'roll. Un colpo di fulmine?
In realtà lo avevo sempre avuto a casa ma non l'avevo mai considerato. Ero pieno di vinili soprattutto di Elvis Presley e Little Richard. Così ho fatto una piccola ricerca, in particolare su quegli artisti che usavano molto il piano. Così ecco Jerry Lee Lewis, Ray Charles e il primo Elton John. E sono andato letteralmente fuori di testa.

E al conservatorio cosa è successo?
E' successo che mi sbattevano fuori dalle aule! Perché seguendo i corsi c'era la possibilità di affittare le aule con i pianoforti grancoda per studiare. Io le affittavo e dopo i primi giri partivo a fare rock'n'roll. Mi sentivano e mi buttavano fuori. Ma è durata poco perché ben presto ho capito che la mia vita sarebbe stata altra.

Ma il conservatorio ti ha lasciato qualcosa?
La disciplina e l'abitudine di studiare quotidianamente. Se non ci fosse stata quell'esperienza probabilmente oggi non sarei qui. Perché di indole non sono uno disciplinato, soprattutto quando ero giovane se non ero costretto non è che mi impegnassi molto. Il conservatorio mi ha fatto superare la soglia del primo rudimento. E allora, fatto quello, inizi a divertirti e non ti fermi più.

Cosa significa per te rock'n'roll?
Per me è libertà. Da un punto di vista musicale c'è dentro di tutto, dalla musica di New Orleans alla Motown, dal blues al country. Lo chiamiamo rock'n'roll ma in realtà è un insieme di stili, tanto importante e influente che andrebbe studiato al conservatorio. Non va preso sotto gamba.

Per qualcuno questo potrebbe essere semplice revival...

Invece l'effetto revival è proprio qualcosa che voglio evitare. Tanto più che non sono un purista di quelli che vanno a cercare il tal amplificatore per avere il suono del 1956. Per questo nel disco abbiamo voluto prendere dei produttori che mi aiutassero a tirare fuori la modernità anche dai pezzi storici, facendo un crossover tra gli anni 50 e l'oggi. Da Luca Chiaravalli a Claudio Guidetti e Mousse T, sono stati tutti preziosi per rendere ancora più moderni arrangiamenti che già lo erano.

Hai fatto cover di brani storici ma anche di pezzi apparentemente lontani, come "L'isola che non c'è" di Bennato...
E' una canzone che amo da sempre. Ho avuto l'occasione di farla quando, dopo che per lungo tempo ho cantato solo in inglese, mi è stato chiesto di provare a cimentarmi con pezzi in italiano. E allora sono andato a ripensare ai pezzi che mi erano sempre piaciuti. Per "Così Celeste" di Zucchero invece abbiamo invece per una versione molto blues.

De "L'isola che non c'è" hai fatto anche una versione in inglese. Come mai?
In realtà io non avevo intenzione di farla. E' stato lo stesso Bennato a suggerirmela e devo dire che ha fatto bene, anche perché è stata apprezzato molto anche dalle radio.

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