Esce il 30 ottobre il nuovo album del cantante pavese. Già programmato per aprile e poi rinviato a causa della pandemia di Covid, getta uno sguardo oltre questo periodo difficile. Tgcom24 ne ha parlato con lui
di Massimo Longoni
Il 2020 di Max Pezzali sarebbe dovuto essere l'anno di un nuovo disco e dell'appuntamento con il concerto a San Siro, uno di quelli che vale la carriera. Poi è arrivato il Covid: San Siro è rimandato al 2021, ma l'album può finalmente vedere la luce. "Era pronto ad aprile - dice a Tgcom24 -. Poi con quello che è successo mi sembrava superato e invece con 'Qualcosa di nuovo', il pezzo che dà il titolo al lavoro, tutto ha preso un senso".
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Dopo aver incontrato Max lo scorso autunno, al momento dell'annuncio di quello che per lui rappresentava il coronamento di una carriera, ci ritroviamo un anno dopo con uno stato d'animo e uno stato delle cose profondamente diverso. "Questo album era nato con l'obiettivo di uscire ad aprile in vista del concerto - dice -. Mi sono trovato lì l'album in sospeso..."
E pronto in un contesto completamente diverso rispetto a quello in cui era nato...
Infatti ho avuto il dubbio che non ci fosse più il senso a fare uscire delle canzoni che parlano di temi quotidiani. Piccoli e grandi sentimenti della vita di tutti i giorni di uno della mia età. Mi sembrava obsoleta.
© Ufficio stampa
E poi cosa è cambiato?
E' cambiato che Michele Canova quest'estate mi ha mandato via Whatsapp da Los Angeles la canzone 'Qualcosa di nuovo'. Ho capito che lavorando su quella avrei potuto dare un senso al tutto. Al netto delle emozioni che hanno generato queste canzoni, vale tutto se ce lo immaginiamo in una logica di rinnovamento. Essenzialmente è racchiuso il bisogno di ripartire.
La speranza è che passata la bufera si torni alla normalità e che quei "piccoli" temi quotidiani tornino a essere centrali?
Il riferimento della canzone "Qualcosa di nuovo" è alla malinconia generale, anche senza citare direttamente quello che è successo. Anche perché non credo si possa parlare proficuamente di quello che sta succedendo mentre ne siamo ancora in mezzo. Rischiamo di mettere la cronaca in qualcosa che invece ha bisogno di uno sguardo prospettico. Però possiamo raccontare il nostro presente.
Una costante che si può rilevare tra i tuoi lavori di sempre e questo è uno sguardo rivolto al passato. E' così?
Sicuramente ma la differenza questa volta è che lo sguardo all'indietro è in qualche modo mutuato dal rapporto che ho con mio figlio, che ha 12 anni, e con la sua generazione. Perché mi devo confrontare quotidianamente con il suo mondo e con un mondo della comunicazione che è completamente cambiato, così come la percezione delle musica.
Ti fa sentire maggiormente il peso del tempo che passa?
Diciamo che avverto un certo gap. Prima ero convinto di essere un genitore moderno. Ho vissuto il mondo "lento" di prima ma ho anche messo un piede nella porta del futuro, ho visto arrivare Internet. E pensavo di essere parte di una generazione che poteva essere parte e interprete del mondo della lentezza precedente ma pienamente inglobato nel mondo superveloce di oggi. Parlando con mio figlio mi sono reso conto che sono esattamente il contrario: troppo giovane per essere vecchio e troppo vecchio per essere giovane. Ormai vengo spesso etichettato come boomer...
© Giuseppe Foglia
Max Pezzali e Fabio Volo sul set del video di "Qualcosa di nuovo"
E come se ne esce?
Evitando di fare la stupidaggine enorme di tacciare i giovani di mancanza di contenuti, analisi... Se ci fermiamo a questo facciamo come i nostri genitori che dicevano che eravamo una generazione di smidollati che non avevano fatto niente. Parlando con mio figlio, che sta crescendo, ho trovato due elementi in comune con la mia generazione.
Quali?
Loro tengono tantissimo al loro piccolo mondo. Quello che abbiamo fatto anche noi. E allo stesso tempo l'altra costante sono i sentimenti. I primi amori, gli amichetti del cuore... Quello è il luogo di incontro tra diverse generazioni. Per noi è inutile restare al passo con i tempi perché non ci riusciamo. Io faccio ancora le canzoni di quattro minuti, che oggi sembrano una follia. Ma fa parte del mio linguaggio, dobbiamo anche provare a spiegargli che a volte può essere bello aspettare un ritornello se hai qualcosa di importante da raccontare e non skippare dopo 20 secondi...
Un bell'azzardo considerando che spesso una canzone è vissuta in funzione di un video su Tik Tok...
Anche questa però non è una cosa da ridicolizzare. Perché un ragazzino di 12 anni può trovare figo un pezzo dei Fleetwood Mac senza sapere da chi o quando è stato fatto, solo perché si adatta bene a una clip. Per le età più giovani la fruizione della musica è legata al feeling del momento, senza preoccuparsi del contesto. Però è una fase, che poi si supera quando arrivano a vent'anni e lo dimostra il successo di un certo mondo indie.
Cosa diventa importante a quel punto?
Il racconto quotidiano e i sentimenti. Chiunque arrivi da quel mondo, da Calcutta ai Pinguini Tattici Nucleari, vince se ha quelle due armi. Quindi oggi è sempre più difficile parlare con gli adolescenti ma quando diventano giovani donne e giovani uomini tornano nel territorio che conosciamo anche noi.
Durante il lockdown hai pensato a modificare i pezzi che erano già pronti?
Si, ho riaperto un sacco di pezzi in quel periodo per capire se si potevano cambiare visto che tutto era cambiato attorno a noi ma poi ho capito che qualsiasi cosa facessi era una sorta di palliativo, un adattamento a una cronaca che poi in quelle canzoni non ci stava. Alla fine ho deciso di tenere tutto con lo spirito con cui era nato. Anche perché mi rifiuto di pensare che questo sia "the new normal". Ho vissuto 53 anni senza Covid e ho la speranza di tornare a vivere senza Covid.
Nell'album ci sono diversi featuring a partire da quello con J-Ax con il quale hai collaborato più volte.
I featuring fini a se stessi, per quanto capiti di farli, sono spesso stridenti. In questo caso li ho scelti con una motivazione narrativa. Ax è una sorta di mio parente acquisito, collaboriamo periodicamente, in particolare quando dobbiamo raccontare il mondo che ci ha generati. Lui ha una capacità quasi sociologica di trovare delle immagini e per quella canzone mi sentiva il suo aiuto.
Tormento?
In questo caso la motivazione è puramente musicale. Ero un fan dei Sottotono che giudico il punto massimo in Italia di quel hip hop più r&b, morbido, suadente, con un flow più sornione. Avendo avuto la possibilità di fare il pezzo con la produzione di Big Fish ho chiesto se si poteva chiedere a Tormento un feat. E lo ha fatto alla grande.
Poi c'è GionnyScandal, il cui mondo sembra invece distante dal tuo...
Me lo aveva segnalato mio figlio. Mi affascinava il suo mondo dell'emo-trap e poi ero stato colpito da un dettaglio della sua biografia, ovvero che era cresciuto con la nonna e mi interessava intrecciare il mio punto di vista da grande con il suo da giovane. In questa fase della mia vita ho bisogno di specchiarmi in chi è più giovane di me per capire meglio il mondo in cui vivrò.
Un mondo che anche per la musica è pieno di incongnite. Tu ti sei speso anche in prima persona per sensibilizzare sulle difficoltà del comparto musicale. Come vivi questo momento?
All'epoca del lockdown io e Lodo Guenzi avevamo fatto una canzone proprio per attirare l'attenzione sulla situazione delle maestranze della musica dal vivo. Parliamo di un numero enorme, più di 500mila tra persone direttamente coinvolte e indotte. Parliamo di persone che non hanno ammortizzatori sociali adeguati. Bisogna creare una rete di supporto, di welfare, per queste persone. Sono convinto che gli artisti possano dare una mano ma niente può accadere se non c'è una direzione dettata dal settore pubblico.
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