VOCE DA INCANTO

Melanie De Biasio, jazz e non solo: "La musica è un viaggio nei sentimenti"

La cantante belga di origini italiane pubblica il suo secondo album, "No Deal", nel quale allarga ulteriormente i confini della propria musica

07 Mag 2014 - 09:37
 © ufficio-stampa

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Jazz, per alcuni artisti un termine troppo riduttivo. Come per la cantante belga Melanie De Biasio, che dopo essersi fatta notare con il lavoro di debutto "A Stomach Is Burning", torna ora con "No Deal", uscito nelle scorse settimane. Un album nel quale l'artista allarga ulteriormente i confini della propria musica. "Non so se sono jazz o meno - dice a Tgcom24 -. C'è una forte impronta, ma anche qualcosa di più: colori e spazi. La mia musica è un viaggio".

Melanie De Biasio, jazz e non solo: "La musica è un viaggio nei sentimenti"

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Non a caso qualcuno l'ha associata a nomi in teoria piuttosto distanti dal jazz alla Nina Simone o Billie Holiday. Da Talk Talk ai Portishead, fino ad arrivare a Jeff Buckley, Pj Harvey o Nick Cave, nella musica di Melanie le influenze si mescolano, tenute insieme dal collante della sua splendida voce, che lei usa come un vero strumento, come hanno potuto notare i fortunati che hanno assistito al suo showcase in Santeria, a Milano.

Nuovo taglio di capelli, band diversa e un pugno di canzoni più oscure che in passato. Sembra che sia cambiato molto nella tua vita...
In realtà ci sono molti elementi che uniscono il primo album a questo. Il pianista Pascal Mohy, e il batterista, che ho incontrato durante il tour del primo album e che era stato il mio insegnante quando studiavo al conservatorio fanno da punto di unione. Abbiamo perso strada facendo il bassista e questo ci ha imposto qualche cambiamento perché ho deciso di non sostituirlo.

Il basso di solito è uno strumento fondamentale in un genere come il tuo. Come mai questa scelta originale?
Quando hai una sintonia speciale con un musicista, non puoi fare paragoni. Così ho preferito andare avanti senza bassista nella band. Sapevo che avrebbe comportato un completo ribilanciamento del sound, perché il piano, il flauto o le tastiere avrebbero dovuto dare la suggestione del basso nel modo di suonare. E' stata una sfida difficile da affrontare ma credo che alla fine sia stata stimolante.

Nei musicisti che ti affiancano cerchi più il feeling o la tecnica?
La musica è un mezzo per condividere ed entrare in relazione con qualcuno. Da questo punto di vista sono molto esigente: esigo una disponibilità totale. Il modo in cui ci esibiamo non è mai uguale a se stesso, creiamo un viaggio sonoro che si dipana sul momento. Quindi il feeling tra i musicisti è fondamentale per intendersi al volo su quale direzione prendere, senza parole.

Quindi la tecnica non ha importanza per te?
La tecnica è necessaria, ma non deve essere esibita. Se non hai la tecnica rischi di non essere in grado di andare dove la tua ispirazione ti guida, non hai modo per aggrapparti alle idee e non riesci ad andare avanti. Per questo i miei musicisti devono possedere la tecnica ma non ostentarla, deve essere al servizio della musica e non fine a se stessa.

Molti dei pezzi di questo album sono stati definiti "ipnotici". Come sono nati? Segui un tradizionale percorso compositivo o ti affidi all'improvvisazione del momento?
Dipende dalle canzoni. Molte delle canzoni sono nate nel corso del tour del primo album. Perché dopo il concerto la musica è ancora lì, che ti avvolge. E mi venivano molte idee. Non ho molte procedure standard o riti di scrittura. Quando arriva l'ispirazione cerco di prenderla al volo.

La tua musica arriva più dal cuore, dalla testa o dallo stomaco?
Cerco di non essere troppo cerebrale. La mia volontà è di cantare con il cuore. Il respiro e la voce arrivano da lì. Il corpo è pieno di cavità di risonanza e io cerco di focalizzarmi sul corpo e sul respiro, perché se la testa e il pensiero prendono il controllo la musica non fluisce.

Sei stata paragonata anche ad artisti lontani dal jazz, come Jeff Buckley o i Talk Talk. Ti ci ritrovi?
Alcuni di quelli a cui mi paragonano, tipo i Talk Talk, non li avevo mai sentiti nemmeno nominare. Jeff Buckley o Portishead invece li ascoltavo quando avevo 15 o 16 anni e perciò la loro influenza arriva da lontano, è quasi inconscia. Lo stesso vale per la musica classica, che ho assimilato quando da bambina passavo le ore da mia nonna, ascoltando alla radio la Callas o Pavarotti. Il conservatorio invece mi ha dato le radici del jazz e del blues, che credo sia ciò da cui derivi tutto. Sono influenzata da tutto quello che mi circonda e ascolto ma voglio creare un mio percorso e prendo solo quei semi che possono trovare terreno fertile in me.

A cosa ti ispiri per i testi?
Credo che tutto alla fine riguardi l'amore. Probabilmente questo è il filo rosso che unisce le mie liriche. Voglio che i testi siano pieni delle mie esperienze ma non le rivelino. L'obbiettivo è di creare uno spazio per l'ascoltatore dove possa sognare e mettere le sue storie. Per questo provo a rimuovere i piccoli dettagli delle mie esperienze che sarebbero d'intralcio per il viaggio dell'ascoltatore e cerco di mantenere soltanto il sentimento, il feeling.

Che direzione deve seguire il jazz per essere contemporaneo?
Credo non sia questione di un genere o dell'altro. E non dobbiamo cercare di essere contemporanei, perché questo significherebbe appartenere a un preciso momento storico e quindi diventare ben presto obsoleti. Dobbiamo trovare il nostro tempo e la nostra singolarità. Non so se sono jazz o meno. Certo, c'è una forte impronta, ma anche qualcosa di più, ci sono più colori, spazi e vivo la mia musica come un viaggio. E' un modo di essere, l'esperienza è un'evoluzione ogni notte, ogni secondo. Bisogna avere la capacità di cambiare, mutare angolazione della condivisione con i musicisti istintivamente e in modo molto veloce.

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