Nuovo appuntamento live dalle nostre parti con il songwriter statunitense: il 3 luglio a Milano per Worm Up
Rivedremo in Italia il menestrello texano Micah P. Hinson, la cui voce profonda e delicata arriva allo stomaco del suo pubblico servendosi di storie dai testi schietti, utilizzando parole mai banali e fortemente poetiche. Sarà uno dei protagonisti di Worm Up, rassegna al teatro Dal Verme di Milano nata da una collaborazione tra Ponderosa Music and Art e I Pomeriggi Musicali. Il 3 luglio il palcoscenico diverrà una casa accogliente in cui Micah si metterà a nudo, connettendosi con la sua anima più profonda. Il songwriter statunitense sta portando in tour l’album "I Lie to You", pubblicato nel 2022 registrato in Irpinia con la produzione di Alessandro Asso Stefana. A Tgcom24 ha raccontato l'incontro con Capossela e lo stesso Asso, e come è nato l'ultimo disco, figlio soprattutto di un nuovo modo di vivere la sua vita.
Questo nuovo disco è stato registrato in Irpinia, e Asso Stefana ha avuto un ruolo importante nell’aiutarti a trovare una voce nuova dopo un periodo difficile. Potresti raccontarci di più di questa collaborazione?
Asso ha giocato un ruolo molto importante nella stesura di questo nuovo album, ma non penso che mi abbia aiutato a trovare una voce nuova: credo di avere sempre avuto la stessa voce e che con Asso ci sia stata, più che altro, una combinazione di molti fattori. Quando mi ha invitato a Calitri per registrare avevo appena scelto di lasciare la mia etichetta e la mia agenzia di booking. Sentivo che non mi stavano supportando abbastanza. Prima di Asso, la mia etichetta si comportava come una fabbrica di canzoni: si aspettavano che facessi un disco ogni anno, al massimo anno e mezzo, per poi chiedersi perché non vendessero tanto o perché non fossero così belli. Erano tempi difficili. Avevo pensato persino di mettermi a lavorare in un casinò indiano, o di riprendere a studiare ma avevo trentanove anni: quale sarebbe stata la scuola giusta per me? Asso è stata una persona molto interessante con cui lavorare, mi ha aiutato a togliere il superfluo e a venirmene fuori con un disco molto semplice, diretto. Mi ha lasciato molto spazio e questo metodo di lavoro ha fatto affiorare molte cose dal profondo.
Hai dovuto lasciare indietro qualcosa per abbracciare questa nuova vita e questo nuovo flusso creativo? Ci sono nuovi suoni, nuove ispirazioni che fluttuano nel tuo vecchio paesaggio sonoro?
Credo che il miglior modo per risponderti sia usando come metafora "Mamma ho perso l’aereo". All’inizio, il protagonista è molto arrabbiato con la sua famiglia e gli dice: "Non voglio vedervi mai più!”. La mattina dopo, quando si sveglia, scopre che i suoi genitori hanno fatto un casino, sono partiti per Parigi o chissà dove e se lo sono dimenticato. È in quel momento che Kevin McAllister, il protagonista, rompe la quarta parete, guarda in camera e dice “Oh-oh! Mi sa che ho fatto sparire la mia famiglia!”. Il lato comico di questa affermazione, e anche quello più serio, sono un’ottima metafora per la mia esistenza. Per molto tempo non sono stato in nessuna relazione che potesse condurmi verso la creatività, né con me stesso, né con gli altri, era un po’ come con la sindrome di Stoccolma, quando le persone rapite iniziano ad affezionarsi ai rapitori. Ero in un posto in cui mi dicevano che il mondo era poco sicuro, e che l’unico modo per essere al sicuro era fare certe cose con certe persone, e questo mi stava rendendo una persona parecchio disfunzionale. Non ho nuove ispirazioni o nuovi suoni, lo vedi nelle mie canzoni, la mia ispirazione è sempre stata vivere la vita e raccontarla, e, insieme a quella metafora di "Mamma ho perso l’aereo" e alle nuove cose che ho imparato, ho trovato un nuovo modo di vivere la vita, che stavo cercando da tanto tempo. Le qualità che ho sempre cercato sono la chiarezza e un linguaggio preciso e pensato. Sono le cose più importanti nella vita, e anche nel songwriting.
Sembra che tu abbia trovato un modo nuovo di vivere la tua vita artistica, qui in Italia. Credo che lo sforzo di Capossela di renderla il centro di una nuova, vibrante, scena, sia completo se persino tu sei stato attratto da questi posti. Cosa ha fatto risuonare il tuo cuore in questo posto antico?
Caro vecchio Vinicio, gli devo molto per avermi fatto incontrare Asso e per avermi spinto a lavorare con lui. Come ti raccontavo prima stavo lasciando la mia etichetta, che non mi dava nessun supporto, e poi è arrivato Vinicio, che ha messo in piedi quello che ai tempi era solo uno studio di fortuna per farmi venire in Irpinia iniziare a registrare. L’intenzione era sicuramente quella di fare un disco, ma non avevamo un’etichetta e non avevamo idea di cosa sarebbe successo. Sono andato a Calitri con un po’ di canzoni che arrivavano dal passato, qualche cosa nuova, ma non tanta roba e quando le ho fatte sentire ad Asso ho capito che erano tutto quello che avevo, che non avevo scritto molto e che non stavo molto bene. Quando parli del cuore che risuona in certi posti antichi, ti dico, io cerco sempre di non parlare della musica in termini magici o mistici, è facile per un artista darsi al misticismo, fantasticare, ma non credo che la musica sia magica, la musica è una cosa molto terrena. I musicisti pizzicano corde e soffiano nei corni da millenni e nessuno è mai asceso in paradiso grazie alla musica. Pensare alla musica in maniera mistica è pericoloso, a volte, fa pensare cose che sono pericolose. Da giovane pensavo che tutte le canzoni che mi arrivavano da dentro fossero spinte da forze magiche e, per quanto suonasse bene, come concetto, credo che sia dannoso pensarlo perché non è sano, o almeno, per me non era sano perché non mi faceva assumere piena responsabilità di quello che dicevo e di quello che sentivo. Era come se una potente forza esterna mi donasse le parole assorbendomi al suo interno, ma togliendomi ogni responsabilità.
Nei tuoi post su Instagram spesso racconti di come le tue vecchie canzoni ti suonino diverse, ora che sei nel nuovo periodo della tua vita che a volte chiami "l’inverno della mia dipartita". È il risultato di una nuova attenzione su di te e sugli altri o un semplice effetto collaterale del diventare più vecchi?
È qualcosa con cui sto facendo i conti. Negli ultimi show che ho fatto avevo pensato di inserire un po’ di vecchi pezzi, magari "The leading guy" o altre cose simili, ma provarle mi ha messo molto a disagio per via del modo in cui raccontavo e vedevo le cose. Magari c’entra quello che dicevo prima sul misticismo, sai, però credo che questo imbarazzo sia qualcosa di molto profondo, di sicuro non un effetto collaterale dell’invecchiare o un nuovo modo di prestare attenzione. È come se ora fossi in un altro posto, so che può suonare strano, ma il punto è che a quelle vecchie canzoni manca l’onestà personale, la responsabilità personale. Per dire, "The leading guy" non parla di me, parla di qualcun altro, ma quel qualcun altro probabilmente è Gesù Cristo e, per quanto possa sembrare una cosa sacrilega e sbruffona, a me in questo momento non importa niente di Gesù Cristo o del concetto moderno di religione. So che è strano perché nei vecchi pezzi parlo sempre di Dio e "The holy strangers" assomiglia ai versetti della Bibbia ma la mia visione sulla religione è cambiata molto nel corso degli anni e non sono più interessato a cantare quelle canzoni perché non sono più quella persona. Per ora è molto difficile, poi magari riuscirò a trovare il distacco giusto per farlo ma va bene anche così, sarebbe ancora peggio se non riuscissi a cantare le vecchie canzoni e nemmeno a scriverne di nuove. Quello sarebbe veramente un problema. Invece adesso so scrivere meglio, so essere più chiaro e più onesto. Lo senti in alcune canzoni contenute in "I Lie to You", in "Ignore the Days" e "Days of My Youth" e soprattutto, ovviamente, lo sentirai nel disco nuovo che stiamo facendo.
Tu sei di origine Chicasaw, e spesso ti riferisci a questo tuo aspetto come appartenente a un “vecchio” mondo, dove la parte nuova invece è la tua parte bianca. Come comunicano e coabitano questi mondi, dentro di te?
Innanzitutto, voglio chiarire che non intendo “vecchio” come opposto a “giovane”, ma come opposto a “nuovo”. Dove sono cresciuto mi hanno insegnato che l’America è il mondo nuovo, e che il vecchio mondo erano la Spagna, l’Italia, l’Inghilterra, eccetera. Quando parlo di vecchio e nuovo mondo non parlo di vecchie e nuove versione di me, uso i termini che usava la propaganda per giustificare la colonizzazione e l’omicidio di massa di milioni e milioni di persone. Una parte di me viene dal vecchio mondo, dal nord della Scozia, dalla zona di Aberdeen, dalla parte di mia madre, invece, siamo Chickasaw. Siamo arrivati da quello che ora viene chiamato Sud America fino a quello che ora si chiama Mississipi, Alabama, più di diecimila anni fa. Il mio popolo ha vissuto lì per un lunghissimo tempo, stando bene, e poi quando sono arrivati gli spagnoli con le loro croci e il loro c...o di Gesù Cristo le cose non sono più state le stesse, ci hanno messo un cappio addosso che portiamo ancora oggi: vivevamo in quello che le persone ora chiamano Mississipi ma abbiamo continuato a farci fregare. Ci hanno spostati a Memphis e il presidente del periodo, che è un criminale di guerra, ha dato il via all’Indian Removal Act, che chiamiamo il sentiero delle lacrime, forzandoci a spostarci nei territori indiani, in Oklahoma, dove ancora abitiamo. Quindi come faccio a far convivere questi due lati di me stesso? Gesù, non lo so, è una domanda complicata. Non credo di avere mai pensato tanto al mio essere Chickasaw finché non sono stato invitato a partecipare al documentario “Love and Fury” di Sterling Harjo, un regista indigeno molto talentuoso. Mi ha chiamato dicendomi: “Sto facendo un documentario sugli artisti nativi americani e vorrei che ci fossi anche tu” e io gli ho risposto: “Sterling, mi piacerebbe molto ma non vedi? Sono molto, molto bianco!” e lui mi ha spiegato che non c’entrava nulla, aprendo moltissimo il mio cuore e la mia mente a nuovi concetti. Devo molto a Harjo per avermi spiegato come guardare a me stesso in maniera più edificante, in questi tempi moderni. Poi, sai, l’altro motivo per cui sono bianco è che gli stranieri, i colonizzatori sono arrivati nel mio Paese e hanno violentato mia nonna e la sua gente per centinaia di anni. Per quanto sia cupa, come spiegazione, è la verità, sono bianco per via di una violenza inaudita subita da loro.