Il cantautore toscano, intervistato da Tgcom24, racconta il suo ultimo lavoro "Vivere o morire", i cui testi sono stati scritti con Pacifico e nel quale ha dato se stesso. Il 24 novembre sarà a Milano per Linecheck
di Luisa Indelicato© ufficio-stampa
"Può sembrare banale, ma sono le emozioni che mi guidano per capire se una canzone è finita". E per emozionarsi bisogna trovare la verità e quindi scavare in se stessi. Un processo che destabilizza e che è stato al centro dell'ultimo lavoro di Motta, che in Vivere o Morire prende desideri o storie del passato e dà loro vita dopo aver affrontato una sua piccola recerche del tempo perduto. Come ha raccontato a Tgcom24, grazie all'aiuto di Pacifico la produzione dell'album è stata come una lunga seduta terapeutica. Una chiacchierata che fa venire voglia di trovarsi al bar quella con il cantautore toscano, classe '86, in vista del concerto del 24 novembre con Les Filles de Illighadad per il Festival Linecheck a Milano. La sua forza? La semplicità che per Carl Gustav Jung era una delle cose più difficili da raggiungere in quanto l'uomo non sa affrontare se stesso.
Partendo dal suo ultimo lavoro, che ha coprodotto con Taketo Gohara (sound designer giapponese che vanta collaborazioni con Vinicio Capossela, Brunori Sas, Marta sui tubi, Negramaro e Verdena per dirne alcune) Francesco Motta si mette subito a nudo: "Ho preso parte alla produzione anche se non è stato per niente semplice. E' un mestiere delicato, devi supportare e sopportare, e autosupportarmi e autosopportarmi non è stato facile. Meno male che c'era Taketo che ha un approccio diverso dal mio. In generale a me non piace fare dischi e scrivere le canzoni quindi il suo approccio è stato fondamentale.
Come mai hai fatto questa scelta?
Mi sentivo pronto, di più rispetto a prima, avevo imparato delle cose anche con Riccardo Sinigallia con il primo disco, avevo le idee più chiare. Insomma sapevo meglio di prima dove andare, più cosciente. Libertà c'era anche prima, ma mi mancavano alcune conoscenze per portare avanti una produzione. E a questo giro alcune cose le ho capite e quindi era una scelta che potevo fare.
Com'è stato collaborare con Pacifico?
Ci siamo conosciuti e sinceramente ci siamo trovati bene sin da subito, anche se non penso sia facile lavorare con me. E' stato anche una sorta di terapia, forse Gino è una delle persone che conosco che sa più della mia vita rispetto ad altre. Perché per tirare fuori certe cose sono dovuto passare da altre che magari non ho scritto nelle canzoni ma dovevamo parlarne. E' stato veramente importantissimo avere lui accanto.
Sei molto sincero con te stesso.
E' stato quello che non è facile, quando cerchi in qualche modo di dire la verità anche se è una verità immaginata non è facile buttar fuori quelle cose, almeno per me non lo è. Anche perché appunto l'unica cartina al tornasole che ho io per capire se una canzone è finita è l'emozione. Può sembrare una banalità ma non lo è. Per emozionarmi devo avere dei ganci emozionali che mi portano a emozionarmi con quello che sento, cose che sono successe o che vorrei che succedessero. Quindi per me non è facile. Poi magari per alcuni scrivere canzoni è facilissimo, non lo so.
E' stata una catarsi.
Beh, sì chiamiamola così.
E' più apprezzabile un'artista insicuro che uno sicuro di sé. Forse la sicurezza è un limite?
Io sono convintissimo di alcune cose, non vedo l'ora di cambiare idea ma è praticamente quasi impossibile farmela cambiare, però non vedo l'ora di farlo.
La musica forse è più un'esigenza, qualcosa che ti ha aiutato?
Non posso farne altrimenti, come ti dicevo prima non mi piace fare dischi, però io queste cose qui in questo disco le dovevo dire per forza, avendoci questo mezzo lo faccio in questo modo diciamo.
Quando è entrata nella tua vita?
Forse da subito, ho iniziato a studiare musica a tre anni teoricamente, poi è stata lasciata per un po' di tempo. Poi l'ho ripresa dai 16 anni in poi non ho fatto altro nella vita che suonare. L'adolescenza a me personalmente mi ha portato a suonare qualsiasi strumento che ci fosse in casa. Però c'è sempre stata nonostante i miei non suonano. Ho avuto la fortuna di avere il pianoforte in casa. Ed è stata una cosa bellissima.
Suoni di tutto.
Suono tutto male, non sono uno strumentista, ho studiato un po' di strumenti e per quello che devo fare va benissimo la mia conoscenza, magari se dovessi fare il tournista per altre persone non sarei adatto. Quando l'ho fatto, ero con persone che stimavo tantissimo e con cui avevamo un feeling. Non mi reputo né un pianista, né un batterista, né un chitarrista. Sono uno che suona a modo mio.
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Come nasce Vivere o morire?
Ne 'La fine dei Vent’anni' ero più statico, nonostante si facciano un sacco di cose quando hai vent’anni paradossalmente si è più statici. In qualche modo io avevo più paura, ora mi sento molto più in movimento. L'album è stata una conseguenza del guardarmi indietro e di vedere quello che avevo sbagliato e quello che avevo fatto bene, l’accettazione dell’errore porta almeno a cercare di fare le scelte giuste. Però ho dovuto vedere queste scelte in maniera binaria non che il compromesso non esista, ma deve essere una conquista. Adesso vivo perché ho visto quali sono le due possibili scelte. Ecco com'è nato.
Al Linecheck porterai delle cantanti africane con te, cosa dobbiamo aspettarci e come le hai conosciute?
Faranno una parte loro, una parte noi, e poi ci sarà un incontro tra noi e loro ci sono delle idee ma non lo sapremo fino all’ultimo, sarà una sorta di improvvisazione. Le ho conosciute a Berlino a una festa africana e me ne sono innamorato follemente. La loro concezione del tempo nella musica mi affascina molto perché è qualcosa che non conosco e ho fatto di tutto per fare queste date insieme a loro.
Sei mai stato in Africa?
Sono stato in Marocco, nel deserto ed è stata un’esperienza bellissima e ci voglio tornare il prima possibile.
Ti emozioni ancora salendo sul palco?
Forse ora ancora di più, forse è veramente il posto dove mi sento più me stesso. Sul palco ho delle responsabilità, perché c’è gente che mi ascolta quindi è necessario essere seri e far bene. E’ un posto sacro per me.
Ho letto che Nada Malanima ti ha insegnato a bere la grappa?
Non è che Nada mi ha insegnato a bere la grappa, però mi ha insegnato a bere meglio di come bevevo, ma non perché lei beve ma per il fatto che ha più esperienza di me. Nada è stata meravigliosa perché mi ha insegnato a fare tantissime cose, ad avere rispetto per le canzoni, io suonando con lei ho sentito questa responsabilità e in qualche modo questo approccio l’ho portato con me. Penso che le mie canzoni siano più importanti di me in qualche modo.
Quali sono gli autori che ti hanno insegnato ad amare la musica?
Mia madre e mio padre, anche se non sono musicisti, sono autori in un altro senso.
Progetti futuri.
Sono tanti, apparentemente differenti da quello che ho fatto finora. Ho voglia di fare cose belle e diverse. Poi scoprirete.
Com’è stare con una persona altrettanto conosciuta come Carolina Crescentini? Ti posso dire solo che è bello stare con Carolina, a prescindere da quanto uno sia conosciuto o meno, è una persona meravigliosa. Stiamo benissimo e questo ti devo dire.
Motta suonerà all'interno del Festival Linecheck, che avrà luogo dal 22 al 24 novembre allo Spazio Base di Milano. Linecheck è l'unica music conference in Italia. Oltre ai concerti, ci saranno più di mille delegati da tutto il mondo già accreditati e un'attenzione anche per il sociale. Quest'anno il focus sarà sulle donne. Dopo il successo delle precedenti edizioni infatti il tema portante è la Gender Equality del settore, con la partecipazione della PRS Foundation, di She said so, l’associazione che riunisce le donne di tutto il mondo impegnate nell’industria musicale - da pochi mesi attiva anche in Italia - e del British Council che affronterà temi più ampi come l’Impatto Economico e Sociale della musica.