Esce il 9 novembre "Simulation Theory", il nuovo album del terzetto inglese. Tgcom24 lo ha incontrato
di Massimo Longoni© ufficio-stampa
A tre anni di distanza da "Drones" i Muse tornano con il loro ottavo album: il 9 novembre esce infatti "Simulation Theory". Un lavoro con cui la band inglese prova a staccarsi dal percorso degli ultimi anni per cercare arrangiamenti più semplici e brani più lineari, ricchi di influenze diverse dal rock. "Siamo nell'era delle playlist, abbiamo voluto fare un album che mischiasse stili diversi ricercando la semplicità" dice Matt Bellamy a Tgcom24.
Il trio britannico si rimette in pista con un lavoro che segna una svolta a U sul cammino intrapreso da "The Resistance" (2009) a oggi. Da un punto di vista musicale tra i tutti i lavori realizzati dai Muse questo è quello più post moderno: dove la linea evolutiva percorsa fino a questo momento si spezza in maniera più evidente per lasciare spazio a un mescolamento di generi che hanno come elemento unificante la scrittura del gruppo, diventata ormai un marchio di fabbrica (al punto da sfiorare qua e là il cliché). "Era importante lasciarci alle spalle il passato - spiega il bassista Chris Wolstenholme - 'Drones' era stato una sorta di album retrospettiva, che riuniva molti degli elementi presenti nei lavori precedenti ma senza rompere nessuna barriera. Questa volta volevamo muoverci in avanti. D'altro canto oggi è difficile trovare qualcosa che sia nuovo al 100%. Quello che si può fare è mescolare i diversi ingredienti stilistici in modo da trovare un sapore diverso. In questo disco per esempio c'è molta elettronica, ma ci sono anche elementi gospel".
Cambio di rotta anche sul fronte lirico. Le tematiche che sono state centrali nei testi di Matthew Bellamy negli ultimi anni (la rivoluzione, gli scenari apocalittici, l'invadenza della tecnologia) tornano qua e là ma con un approccio diverso: preso atto che non si può battere la tecnologia tanto vale sfruttarla. "Questo non è un concept - avverte lui -. Ci sono pezzi molto personali e altri più filosofici".
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A contribuire all'ampio spettro di colori che caratterizza il disco ci sono le mani di ben quattro produttori diversi e di diversissima estrazione: Rich Costey, Mike Elizondo, Shellback e Timbaland. E se il primo è una vecchia conoscenza della band, gli altri vengono da mondi lontani, come il pop, l'r'n'b e l'hip hop. "Per me è difficile collaborare in questo modo perché tendo a essere un accentratore - sottolinea Bellamy -. Ma questa volta ho tentato di cambiare. Un obiettivo che avevamo era quello di essere concisi e semplici negli arrangiamenti. Nei tre album precedenti avevamo lasciato le briglie sciolte, con arrangiamenti sempre più complessi e pomposi e brani che spesso sfioravano gli otto minuti. Qui ci siamo imposti di stringere tutto e quando anche veniva la tentazione di dilungarci, il pezzo poi arrivava nelle mani di uno dei produttori che lo tagliuzzava senza pietà".
Il risultato è quello di un lavoro snello, dove senza perdere il quadro di insieme risulta evidente come l'attenzione sia stata posta soprattutto sui singoli episodi. Un approccio confermato dalla pubblicazione di ben cinque brani, praticamente un Ep, prima dell'uscita dell'album. "Quando abbiamo iniziato a lavorare ai pezzi nuovi abbiamo parlato molto. Anche del fatto che oggi la forma album è meno importante, i ragazzi vivono la musica con la cultura della playlist e del singolo brano - dice Wolstenholme -. Per questo siamo entrati in studio con l'idea di realizzare delle canzoni da pubblicare subito, senza avere l'obiettivo di un lavoro complessivo. Alla fine l'album è arrivato lo stesso, ma la cosa positiva è stata che ci siamo concentrati completamente su ogni singola canzone".
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Ogni canzone è stata accompagnata da un video, dove i riferimenti pescano a piene mani nella cinematografia fantasy e di fantascienza degli anni 80. Lo stesso vale per la copertina del disco, non a caso realizzata da Kyle Lambert, artista che ha disegnato anche le locandine di "Stranger Things" e "Jurassic Park". "Quella di una cover nello stile di una locandina cinematografica era un'idea che mi frullava in testa da tempo - rivendica il batterista Dominic Howard -. Quando abbiamo iniziato a lavorare sui singoli brani abbiamo deciso di accompagnarli tutti con un video. Il primo è stato 'Dig Down', la cui clip ha un immaginario molto cinematografico. Da lì abbiamo deciso di proseguire lungo quella strada e quindi abbiamo pensato fosse l'occasione giusta per realizzare quel tipo di cover. Vedendola si potrebbe pensare a un album che guarda agli anni 80. In realtà non abbiamo voluto essere nostalgici: l'ispirazione è più visiva e di atmosfera che non musicale".
Un immaginario che mescola fantascienza e videogame, fantasy e realtà virtuale dunque. E così sfruculiando la cover del disco, tra le citazioni più o meno esplicite di "Ritorno al futuro", "Edward mani di forbice", "La Cosa" e "Voglia di vincere", si può cogliere anche un rimando a "Tron", film cult del 1982, il primo a occuparsi di realtà virtuale. "Molte idee mi sono venute proprio dopo aver provato una macchina per la realtà virtuale - dice Bellamy -. Sono rimasto immerso in quel mondo tre ore e quando ho tolto il visore mi ci è voluto un po' per riprendere contatto con la realtà vera che mi circondava. La simulazione oggi è sempre più usata per capire la realtà andando oltre le limitazioni del corpo umano".
Il nuovo tour mondiale negli stadi dei Muse partirà il 22 febbraio da Houston, negli Stati Uniti, per poi arrivare anche in Italia per due date: il 12 luglio a San Siro e il 20 all'Olimpico di Roma. I riferimenti cinematografici e fantascientifici sembrano fatti apposta per tradurre questo disco in un grandioso spettacolo live, come da tradizione per il gruppo di Bellamy.
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