Nicole Atkins, la nuova vita di una rockstar: "Vado avanti con la spinta dei miei fan"
© ufficio-stampa
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La cantautrice americana torna con "Slow Phaser", album prodotto con una campagna fondi lanciata in Rete. "E' un po' come tornare la medioevo, ma il senso di libertà è impagabile" dice a Tgcom24
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Si intitola "Slow Phaser" l'album con il quale la cantautrice americana Nicole Atkins torna sulle scene. Un lavoro dai molteplici significati, che segna quasi una rinascita per lei, dal momento che lo ha realizzato in maniera indipendente grazie al finanziamento dei fan. "Ho deciso di ripartire da zero - dice a Tgcom24 -. Fare tutto in proprio è molto più complicato, ma il senso di libertà che ti offre è impagabile".
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Quella di Nicole è una storia di quelle "dense", come spesso accade nel mondo del rock. Presentata come astro nascente nel 2007, al tempo dell'album di debutto "Neptune City", si è trovata nel giro di qualche anno senza contratto discografico, a dispetto di una fan base affezionatissima e di una stima profonda nutrita per lei da moltissimi big della musica, da Bruce Springsteen a David Byrne, passando per Patti Smtih e Nick Cave. Ma Nicole non si è abbattuta, nemmeno di fronte alle difficoltà della vita (la sua casa è stata devastata dall'uragano Sandy) e ha deciso di prendere tutto questo come l'opportunità per un nuovo inizio. Così, con un album pronto nel cassetto, ha lanciato una campagna di crowdfunding su Pledgemusic, raccogliendo l'obiettivo fissato in meno di un mese.
"In realtà è un processo ancora in corso - spiega lei -, perché anche adesso che il disco è stato pubblicato, mentre sono in tour mi capita di incontrare gente che mi viene incontro e dice 'hey, sono Paul tal dei tali, io ho contribuito al disco!'. E' una situazione molto vecchia scuola, sembra quasi di essere nel medioevo da un certo punto di vista!".
E' stato difficile trovarti a fare i conti in prima persona con gli aspetti meno artistici del mondo musicale?
E' molto più dura, ma allo stesso tempo è più reale. Puoi realmente vedere cosa sta succedendo. Prima di questo non avevo mai realizzato quanti soldi servissero veramente per realizzare un disco. Perché non è solo la realizzazione, ma c'è tutto un "dopo" a cui pensare.
Quando hai lanciato la campagna avevi già in mente che tipo di disco realizzare?
Di più... Lo avevo già finito! L'idea mi è venuta mentre stavo scrivendo le canzoni. Mi trovavo in Svezia e mi è capitato sottomano il libro di David Byrne dove si riferiva a me. Sono tornata a casa e ho deciso che volevo una mia etichetta. E' stato buffo perché poi per la distribuzione mi sono affidata alla Columbia e quindi mi sono trovata a lavorare con le stesse persone con cui avevo lavorato in passato. Ma questa volta io ero la proprietaria della mia musica.
Questo disco è molto diverso dai precedenti. Hai dichiarato che intendevi fare della musica che nessuno aveva mai sentito... Obiettivo ambizioso e difficile da ottenere...
Sono una persona abituata a buttarmi nelle cose senza pensarci troppo. Questa volta ho deciso di fermarmi e prendermi il mio tempo. Ho lasciato l'etichetta, il mio manager storico e ho voluto ripartire da capo. Ho passato due anni viaggiando e incontrando persone. Stavo iniziando a scrivere un disco che parlava della fine di un amore e mi sono resa conto che non volevo leggere nuovamente di quel tipo di argomento.
E quindi cosa hai fatto?
Ho incontrato Jim Scalvunos, che è il batterista che lavorato con me su questo disco. Abbiamo passato una settimana insieme scrivendo alcune canzoni. Mi ha aiutato a scrivere testi in maniera diversa, e anche a cantare in maniera più variegata: ho scoperto che non è necessario essere sempre "big".
In questo album c'è dentro un po' di tutto, dal rock, alla psichedelia passando per il prog e persino la discomusic...
E' figlio di tutte le influenze ricevute nel periodo in cui stavo componendo. Ho passato del tempo a Memphis e avevo il pensiero a Elvis e al rock. Quindi sono andata in California, subito prima di trasferirmi in Svezia dove ho registrato l'album. Ho avuto modo di ascoltare molto progressive, dai Genesis ai King Crimson e me ne sono innamorata. Senza contare alcuni tocchi di follia che ci hanno permesso di fare cose che prima non avrei mai osato immaginare...
Tipo?
La canzone "Who Killed The Moolight", nella mia testa è nata come un brano sullo stile di Kurt Weill. Quando l'ho fatta sentire a Tore Johansson, il produttore, lui mi ha proposto di metterci sotto una linea di basso "disco". Gli ho chiesto se per caso fosse impazzito ma lui è andato avanti e il risultato finale è fantastico, proprio perché inaspettato.
Hai vissuto sulla tua pelle il dramma provocato dal passaggio dell'uragano Sandy. Cosa è cambiato per te da allora?
Nella mia vita ho sempre viaggiato tanto e il ritorno a casa, dove avevo le mie cose più care, ha sempre rappresentato un punto di riferimento. Sandy ha praticamente spazzato via il primo piano della nostra casa. In quel momento ho capito che la vita può cambiare molto velocemente e che le uniche cose che nessuno può portarci via sono quelle che custodiamo nel cuore. E i miei lavori, le mie canzoni.
Secondo te alle volte siamo troppo attaccati alle cose materiali?
L'unica cosa certa è che ho imparato ad attribuire loro meno importanza. Quello che veramente conta è custodito nella testa o nell'aria. E' per questo che quello che è successo mi ha reso meno pigra: sono diventata piu produttiva e prolifica perché quello che faccio rappresenta il mio vero tesoro.
Se oggi una casa discografica venisse a proporti un contratto tradizionale cosa faresti?
La struttura e il sistema delle etichette può essere molto utile ma amo essere indipendente. Dopo aver provato questa sensazione di libertà sarebbe difficile tornare indietro.