Tra mash-up, parodie e duetti impossibili, il gruppo porta in scena al Teatro Leonardo di Milano dal 19 aprile all'1 maggio, i grandi della musica italiana e internazionale
di Massimo LongoniUna vera e propria sfida, lanciata al pubblico e a se stessi. E' questo "The Human Jukebox", il nuovo spettacolo degli Oblivion, in scena al Teatro Leonardo di Milano dal 19 aprile all'1 maggio. Uno show diverso ogni sera dove sarà il pubblico a inidirizzare la scaletta con richieste al gruppo. "E' una sorta di punto di arrivo del nostro percorso - dicono a Tgcom24 -, prima di passare a qualcosa di completamente diverso".
Cinque contro tutti, dando fondo al proprio repertorio e provando ad ampliarlo sul momento, passando dai Ricchi e Poveri ai Rapper, da Ligabue ai Cori Gospel, da Morandi ai Queen, tutte le canzoni senza farne nessuna. Un omaggio a Povia e uno ai big italiani degli anni 80 che oggi "svernano" in Russia. Non manca nulla in questo spettacolo che segna un punto di arrivo nel percorso del gruppo, partito dal web con le parodie in musica in stile Quartetto Cetra (i famosi "Promessi Sposi in 10 minuti") per arrivare a mettersi alla prova in uno spettacolo come "The Human Jukebox" in un crescendo tangibile di stagione in stagione. E confermato dal fatto che dopo Milano la tournée approderà per 15 giorni al Sistina di Roma. Nelle date milanesi ci sarà un cambio nella formazione, dal momento che Francesca Folloni, in procinto di diventare mamma, sarà sostituita da Clara Maselli. Un innesto per nulla traumatico. "Lei ha in comune con noi la stessa formazione alla Bandstand School di Bologna -spiega Lorenzo Scuda -. e un curriculum di tutto rispetto, da 'Sister Act' a 'La famiglia Addams' a 'Evita'. Per un'ora e mezzo di spettacolo ci sono almeno tre ore di spettacolo che comunque ha dovuto imparare in tempi brevissimi". "E poi è stata campionessa di lambada a Imperia nel 1994. E' stato questo a farci decidere di prendere lei" aggiunge Fabio Vagnarelli.
Il meccanismo dello spettacolo è tanto semplice quanto imprevedibile nei suoi sviluppi. All'inizio viene chiesto al pubblico di esprimere una richiesta su un biglietto e metterla in un boccione di vetro. "Devono segnare il loro cantante preferito del quale noi dovremo eseguire qualcosa a nostro modo - spiega Davide Calabrese - O fa parte del nostro repertorio o è qualcuno su cui possiamo improvvisare. Nel caso di richieste assurde, chiediamo chi l'ha fatta e lo mandiamo a quel paese. Questo crea un interessante effetto di straniamento strehleriano".
La regia dello spettacolo è affidata a Giorgio Gallione e anche sul piano della scenografie e dei costumi "The Human Jukebox" rappresenta un passo avanti nel percorso degli Oblivion. "Per la prima volta un nostro spettacolo è gradevole visivamente - dice Scuda -. Abbiamo abbandonato il classico fondale nero per una scenografia che mescola luci, colori e geometrie. E abbiamo ripensato tutta la parte visiva a partire dai costumi, ognuno ha avuto modo di tarare fuori la propria personalità".
Nell'ambito di un canovaccio che muta di volta in volta a seconda delle richieste della platea, ci sono comunque alcuni momenti fissi, che servono a stabilire un ritmo. Tra questi c'è il "FestivalZar". "Sono otto minuti dedicati ai grandi "vecchi" degli anni 80, da Toto Cutugno a Pupo e i Ricchi e Poveri, che ora sono tutti in Russia a fare i soldi - racconta Scuda -. Tutti i loro successi sono rielaborati in chiave sovietica". E poi c'è un finale che porta a un cantante contemporaneo... "Il nostro percorso parte da Sanremo, passa dalle vecchie glorie e si conclude con Povia. Un grande gospel dove l'intero teatro si alza in piedi e batte le mani".
L'interazione con il pubblico è molto forte. Nessuno salirà sul palco ma saranno gli Oblivion stessi a scendere spesso in platea ("Uno spettacolo sensoriale, grazie all'odore dei nostri costumi...") e in base alle richieste il gioco con questo o quello spettatore è assicurato. Ma nessuno si azzardi a chiedere i "Promessi Sposi" o la "Divina Commedia". "Pezzi storici ce ne saranno, ma sono solo quelli che sono riconducibili a un cantante". Di carne al fuoco del resto ce n'è già molta, in uno spettacolo che rappresenta un po' la summa di quanto fatto dagli Oblivion fino a oggi. "E' un po' un punto di arrivo - spiega Scuda -, un lavoro che per come è costruito può andare avanti per anni cambiando continuamente. Ma per noi segna anche una linea immaginaria: dopo questa pensiamo a qualcosa di completamente diverso, fatto solo con pezzi nostri originali e niente parodie".
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