Paola Minaccioni: "La mia Egle riesce a far ridere nel dramma della malattia"
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Parla l'attrice tra i protagonisti di "Allacciate le cinture". "E' un personaggio fantastico - dice a Tgcom24 -, lavorare con Ozpetek è un sogno"
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Nella storia di amore e malattia raccontata da Ferzan Ozpetek nel recente "Allacciate le cinture", c'è un personaggio che entrato subito nel cuore degli spettatori. E' quello di Egle, interpretato da Paola Minaccioni. "E' un personaggio fantastico - dice lei a Tgcom24 - scritto benissimo a partire dal soggetto. Fa ridere, ma porta al pubblico tutto il suo dramma e la sua verità".
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E' un periodo davvero intenso per la Minaccioni. Volto sempre più ricorrente nelle commedie italiane, quest'anno, dopo averla vista nel film di Ozpetek, sarà tra i protagonisti di "Un matrimonio da favola", di Carlo Vanzina, mentre attualmente è sul set per il nuovo lavoro di Massimiliano Bruno. Senza contare l'impegno televisivo, con una nuova fiction alle porte.
Ma sicuramente il ruolo di Egle, la malata di cancro, stralunata compagna di stanza di Kasia Smutniak, è tra le cose migliori di "Allacciate le cinture", strappando più di una risata senza perdere una virgola della drammaticità del ruolo e della situazione.
E' stato difficile calarti in un ruolo di questo tipo?
Intanto diciamo che sono partita da un personaggio scritto benissimo. Ho avuto un'empatia immediata con Egle. Quasi subito ho sentito che c'era già la strada segnata, sin dalle letture fatte a casa di Ferzan. Poi io sono arrivata quasi nella coda delle riprese, dopo che avevano girato tutta la parte della gioventù. Nel frattempo ho studiato le battute, ho fatto la dieta e non ho preso il sole. Poi sul set è venuto tutto molto naturale, si è creata una atmosfera meravigliosamente commossa, perché comunque non c'era compiacimento. Poi tra le mani di Ferzan siamo tutti più bravi. Mi ha dato una grande possibilità: io queste cose le ho sempre volute fare, le facevo anche a teatro e lui mi ha dato la possibilità di farle in un bel film.
Quando si tratta di parlare di dolore e malattie i rischi sono sempre molti e le critiche dietro l'angolo. Tanto più se il personaggio è trattato con una forte dose di ironia...
Per costruirlo ho cercato ho fatto delle riflessioni che erano già mie sulla malattia. Su come una persona, nel momento in cui viene diagnosticato un tumore, ne parli con molta più semplicità, con più concretezza, perché quando ti capita le cose vanno affrontate, non c'è tempo per essere retorici. Al tempo stesso ho cercato di ricordarmi che ho la fortuna di interpretarlo quel ruolo e di non averlo vissuto, avendo così rispetto per gli spettatori in sala che magari in quel momento la stanno vivendo o l'hanno vissuta. Quindi mi sono anche posta il problema di non compiacermi di questo ruolo.
Cosa c'è di così speciale nel lavorare con Ozpetek?
Non è solo il lavoro sul set. Nel momento in cui lui ti sceglie e ti propone un ruolo, ti fa entrare in un'esperienza a tutto tondo. Sei catapultato nel film prima ancora di entrare sul set, perché lui ti coinvolge, ti ama, ti segue. E' molto accogliente, avvolgente. Poi ha una sensibilità pazzesca, vede negli attori cose che altri non vedono. E' un po' come innamorarsi l'uno dell'altra. Questo non toglie che sia molto serio ed esigente: devi arrivare e dare il meglio, ma viene spontaneo perché tutti sul set hanno la sensazione di far qualcosa di bello. Infatti anche i rapporti tra colleghi sono splendidi nei film di Ferzan.
Adesso invece ti vedremo in un'altra commedia, "Un matrimonio da favola", diretta da Carlo Vanzina.
Anche in questo caso si tratta di un ruolo che è stato scritto per me. Sono molto orgogliosa di lavorare con i Vanzina, dopo Ozpetek. Sono così distanti ma così vicini, perché entrambi sono amanti degli attori e del cinema anche se lo eseguono in modo diverso. Nel film sono la moglie di Emilio Solfrizzi, un'avvocatessa divorzista tanto sicura di sé e aggressiva nel suo lavoro che poi, nella vita privata, non si rende conto di quello che le capita davanti agli occhi. Un personggio molto comico.
I tuoi personaggi sono quasi sempre molto "estremi", con caratteristiche nette. Preferisci questo genere di ruoli?
Devo dire che mi diverto molto. Sono molto contenta quando quando dietro la caratterizzazione di un carattere c'è anche la psicologia, c'è un mondo, una storia e un sentimento. Nei miei desideri vorrei sempre di più fare ruoli che rappresentino persone riconoscibili, come lo è Egle, che va oltre il suo essere malata: riesce a far ridere ma anche a dare una verità. Spero di avere sempre più spesso ruoli così.
Non sei una di quelle attrice che amano aggiungere qualcosa di personale al proprio personaggio?
Se il testo è scritto bene, se lo sento, non necessariamente aggiungo. E' una cosa che ti viene quando il personaggio non è chiaro, ti vewngono delle domande. Non sono un'attrice che deve aggiungere per forza. Non amo scaccolare. Cerco di trovare un motivo per cui magari aggiungo. Certo se il personaggio non è chiaro provo a concentrarmi. Però non amo le caccole gratuite. Il mio maestro, Nikolaj Karpov, del metodo Mejrchol'd mi diceva sempre: prima fai e poi parli. Devi entrare nella cosa e poi parli. Ci sono attori che alla prima lettura esprimono dubbi, perplessità... ma così limiti la tua ricerca.
Ci sono state situazioni invece nelle quali la sintonia non è scattata?
Io quando firmo accetto di fare un film cerco di trovare in tutti i modi la sintonia. Non mi piace tirarmela. Ho fatto anche delle cose che non mi rappresentano ma comunque hanno aggiunto qualcosa alla mia esperienza. E' stato difficile quando ho trovato registi che invece di stimolare l'attore cerca di importi un altro gusto comico. Il comico deve parlare la propria lingua.