Il pianista e compositore racconta a Tgcom24 la sua svolta artistica. Nell'album "Canterò" ospiti anche J-Ax e Claudio Bisio
di Massimo Longoni© Simone Galbiati
Il titolo è tutto un programma: "Canterò". E' quello che ha deciso di fare Paolo Jannacci che, a 46 anni, dopo una consolidata carriera nel mondo del jazz e della composizione, si scopre cantautore aggiungendo la sua voce alla musica suonata. "Ho cominciato a cantare in alcune occasioni, soprattutto per evitare che alcuni brani di papà cadessero nell'oblio - dice -, e ho capito che poteva essere interessante propormi in questa veste".
Dieci pezzi, con la più totale libertà stilistica, passando dal jazz al cantautorato puro con incursioni nel pop raffinato e persino nel rock. Una libertà che non va però a minare l'unità sostanziale del disco, garantita da alcuni temi forti che ne stanno alla base della composizione.
"Era il momento giusto per un lavoro del genere - spiega lui -. Abbiamo fatto un po' di prove, situazioni dal vivo dove ho iniziato a testare la possibilità di cantare. Andando avanti con il tempo ci siamo accorti che funzionava e allora ho iniziato a scrivere dei brani".
Quanti anni ci hai lavorato?
Quasi cinque. E' stata una gestazione lunga perché ci ho lavorato da solo e ci ho messo tutta la mia pignoleria e i ripensamenti. Essendo il primo esperimento non volevo coinvolgere il mio produttore, Maurizio Bassi, perché di fatto era un salto nel buio. E quindi mi sono caricato tutto il lavoro, e così ci metti di più.
E' stato difficile arrivare al risultato che volevi?
E' stato lungo più che altro, perché ho messo mano di continuo, tagliato, rimodellato, buttato via... Ricordo che il brano "L'unica cosa che so fare", appena finito l'ho portato ad ascoltare a Nicola Savino. Lui mi ha detto "bello, un po' lunghino...". Durava più di cinque minuti e mentre ero lì e lo ascoltavo io stesso mi sono trovato a pensare "ma non finisce più?". Sono tornato a casa e ne ho tagliato la metà.
Colpisce la varietà stilistica del disco.
Sì, è molto eterogeneo ma secondo me alla fine lo è in maniera felice. C'è un punto focale, che sono io in un modo di raccontare storie, e poi ci sono degli amici, anche diversi, con cui condivido delle esperienze e delle sonorità che nella loro diversità mi raffigurano tanto perché mi piace spaziare.
Questo disco per te è una voglia di sperimentare qualcosa di diverso o proprio un percorso nuovo?
Ormai se c'è da suonare suono, però ho visto che molte piazze amano molto un rapporto più diretto con il pubblico, e quindi con il canto. E ho verificato che questa cosa non va a inficiare la qualità. In più siccome mi vengono a vedere sia il jazzofilo che la signora che vuole sentire "Vengo anch'io" di papà, non posso andare in una sola direzione.
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Il legame con tuo papà è evidente fin dalla foto di copertina, che lo ricorda in maniera impressionante.
Il disco è legato a lui e a un certo periodo della mia vita. Non a caso ho scelto due suoi brani da reinterpretare, "E allora... concerto" e "Fotoricordo... Il mare". Per me la fine degli anni 70 e i primi anni 80 sono stati importanti anche se non erano semplici. A Milano c'era il problema dell'eroina e il terrorismo. Ma quanto era vivo quel periodo? C'era un fermento di nascita di emozioni, creazione di valori, di amicizie, che ultimamente si è un po' perso. E papà mi dava quel tipo di immagine lì, e le ho assimilate. Non faccio apposta, non faccio la caricatura. Quando sono vero mi viene fuori lui in quel periodo.
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C'è un brano anche con Claudio Bisio.
Siamo amici, anche se non ci vediamo spesso. A lui devo tantissimo perché mi ha richiesto per Zelig, dove ho fatto tre anni indimenticabili dove ho suonato tutto, da Gershwin a Bollywood, e mi sono fatto conoscere. C'è stato un periodo in cui gli ho chiesto se aveva voglia di scrivermi un brano. Lui aveva già un testo che poi ha modificato. Tra l'altro questa è un'altra canzone esempio di quanto ho lavorato al disco. Era praticamente finita e riascoltandola mi sono accorto che il ritornello ricordava troppo un altro brano. Era una cosa che notavo quasi solo io, ma mi dava un fastidio... e così ho rifatto tutta quella parte... ricantato, rifatto i cori... il mio fonico alla fine mi voleva uccidere.
L'album sembra quasi diviso in due momenti, è così?
Sì, ma in realtà la cosa è venuta per un puro caso ma in effetti è così. Tanto che questa cosa si nota benissimo con la versione in vinile, dove il cambio lato rende tutto perfetto. Nel primo lato ci sono tante cose nuove, tradizione, il lato B invece parte con "Pizza", che è una roba matta, e poi tranne il brano con Danti, che è contemporaneo, si capisce che c'è questa dedica a papà, a Tenco, di cui rifaccio "Com'è difficile", al cantautorato,
Dal vivo, Jannacci e i suoi musicisti torneranno ad esibirsi a partire dal 4 novembre, in occasione di un concerto della rassegna JazzMi a Milano, per poi spostarsi a Torino, Roma e in provincia di Udine.