Fotogallery - Paolo Ruffini e Massimo Ghini sono "Quasi amici"
© Serena Pea
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Dal 16 al 28 gennaio l'attore, conduttore e regista insieme a Massimo Ghini nella trasposizione teatrale dell’omonimo film francese del 2011. Tgcom24 l'ha intervistato
di Antonella Fagà© Serena Pea
Paolo Ruffini è uno "scorretto" e "spietato" Driss in "Quasi Amici", trasposizione teatrale dell'omonimo film francese del 2011 ,"Intouchables" di Olivier Nakache e Éric Toledano, con la regia di Alberto Ferrari. "Uno spettacolo su disabilità e inclusione, che non fa sconti a nessuno", racconta a Tgcom24 l'attore, conduttore tv, regista e produttore, che nella pièce, in scena al Teatro Manzoni dal 16 al 28 gennaio, interpreta Driss Bassari, il badante "sui generis" di Philippe Pozzo di Borgo, interpretato da Massimo Ghini, ricco signore costretto su una sedia a rotelle a causa di una brutta caduta con il parapendio.
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Livornese doc, classe 1987, con un curriculum di tutto rispetto, che spazia, dalla televisione al cinema, al teatro e al doppiaggio, senza dimenticare i numerosi libri scritti, Paolo Ruffini è da anni molto impegnato sul fronte sociale e della disabilità, soprattutto con il progetto "UP&Down", happening comico, con attori prevalentemente down, che ha debuttato a teatro nel 2018 e dal quale è nato un documentario dal titolo "UP&Down –Un film normale", di cui Ruffini è co-regista con Francesco Pacini, un libro, di cui è autore, "La sindrome di UP" e una versione televisiva, "Up & Down - Uno spettacolo normale". Dal 2016 collabora con la compagnia toscana Mayor Von Frinzius, con cui ha lavorato in un "Grande abbraccio" insieme ad un cast di attori portatori di handicap.
Sì tutto lo spettacolo è giocato sul tema della disabilità, non solo motoria però. C'è anche un tipo di disabilità ad accogliere la felicità, la meraviglia, la bellezza. In scena ci sono due disabili, uno che non può muoversi ed è in sedia a rotelle, Philippe, non più in grado di essere felice e l'altro, ovvero Driss, il mio personaggio, che è disabile perché non sa prendersi cura di se stesso e del proprio intimo, disabile ad accogliere la cultura, a leggere un libro... Nello spettacolo ci siamo concentrati su questi aspetti.
Penso che abbiamo fatto passi da gigante in questo senso, e questo accade anche perché i down negli anni Settanta vivevano fino a 40 anni e oggi non è più così. La ricerca e gli studi in merito hanno aumentato l’aspettativa di vita e migliorato la qualità dei disabili.
Ma secondo me è importante sottolineare come sia necessario non cadere nel facile pietismo quando si parla di disabili. La maggior parte dei down ad esempio non fa le cose perché nessuno glielo chiede. Il miglior modo di fare beneficenza è restituire dignità ai disabili, offrire loro un lavoro, riconoscere il loro talento, se c'è. Gli attori della mia compagnia "Up&Down" io li pago come pagherei gli altri attori. Non sono "speciali". Una persona disabile più che "poverino", ha voglia di sentirsi dire "tu vali quanto me”.
La normalizzazione è il grande passo da fare. Poter dire, senza doversi scusare, ad un non vedente: "Hai visto quel film?"
Parliamo tanto di social, ma basterebbe aggiungere una "e" e rendersi conto che tutti valgono allo stesso modo.
Non so se so recitare, ma il mio talento è quello di non avere mai fatto in vita mia una differenza tra chi ho davanti.
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Il film è sicuramente bellissimo e la sfida era inevitabile. Ma mi è capitato spesso di fare dei remake, e ogni volta mi dico "chissenefrega" se il film è bello, magari ci sono degli altri punti di vista per esplorare la stessa storia. Le storie sono belle proprio perché ci consentono di avere dei punti di vista inesplorati. Altrimenti dopo Omero o Pinocchio non ci sarebbe stato più nulla .... E poi c'è la fascinazione del mezzo che si utilizza.
Beh, intanto c'è stato un aggiornamento della storia, l'abbiamo portata più vicina a noi. Nel film c'è la borgata francese, qui Driss è uno che vive col sussidio di disoccupazione, che ha lottato per il reddito di cittadinanza e vive di espedienti e alla giornata.
L'amico è la persona con cui osi essere te stesso. Credo che l'amicizia sia un sentimento d'amore, manca la passione, ma ha il vantaggio di essere un amore più incondizionato. In amore diciamo "ti amo, mi metto con te se...". L'amicizia è meno giudicante ed è per questo più preziosa dell'amore. Io mi innamoro spesso, ma trovare amici è più difficile. Io ho la fortuna di lavorare con un amico che è Massimo Ghini, lui è un grande amico con cui litigo per chi paga la cena ma con il quale c'è un bellissimo legame. E ho un altro amico, che chiamo micio e che mi è stato sempre molto vicino ed è una persona con cui non mi vergogno mai e posso essere anche orrendo: lui mi accetta comunque
Sono un po' "doppato" dal fatto di fare uno spettacolo che non fa sconti a nessuno ed è molto scorretto. Driss è un personaggio spietato, che non vuol dire che non sia capace di empatia, pietas ma non pietà insomma. C'è una frase del film ad esempio che abbiamo mantenuto: "niente cioccolato per l'handicappato". Qualcuno storce il naso ma la cosa che più mi fa piacere è che molti disabili vengono a vedere lo spettacolo.
Il punto è, come dicevo prima, che i disabili vogliono essere trattati come gli altri. L'inclusione è proprio questo, quando puoi anche scherzare sulle cose come la disabilità e io credo che la gente apprezzi proprio questo
Io amo i social e credo siano una grande opportunità, possono rendere virale qualcosa di meritevole e il mondo virtuale può essere molto più bello di quello reale. Ma nella comicità, a causa dei social, c'è stato un grosso passo indietro, di oltre cinquanta anni, adesso c'è una sorta di fasciodemocrazia. Prima si faceva satira contro un regnante, contro il presidente del momento (Craxi, Andreotti...) oggi ciò che posso dire o non dire non sono il Papa o la Meloni a deciderlo, bensì una oligarchia di poche persone che sui social si indignano e costringono il comico o l'attore a scusarsi. Nell'arte in generale penso sia importante soprattutto la scorrettezza. L'arte politicamente corretta si fa durante le dittature. Tuttavia siamo tutti vittime di quest’epoca così social, e così poco sociale, e dobbiamo sottostare non ad un pubblico pagante bensì a dei follower "giudicanti", che il biglietto per gli spettacoli a teatro o per il film magari nemmeno lo pagano perché se lo scaricano, a cui dobbiamo rendere conto. Il fatto di non poter scherzare sui disabili, sui neri, sui gay... è sbagliato. L'arte e la comicità sono l'opposto del politically correct. La battuta è per forza scorretta. Io voglio far ridere e fare comicità per far contento il pubblico pagante non i follower
Ricordo anni fa, allo spettacolo per una convention facevo battute su tutti tranne su un ragazzo con la sindrome di Down. Lui alla fine mi chiese: perché non hai scherzato con me? Ecco, escludere qualcuno dalla comicità è ghettizzarlo. Prenderlo in giro invece è la cosa più inclusiva che c'è. Se riesco a scherzare su tutto ho vinto
La comicità finisce quando qualcuno ti dice "ma che cavolo ridi...". Quando la risata non è più libera perché qualcuno detiene lo scettro su cosa ridere o non ridere è finita.
A me manca ad esempio anche la volgarità. "Vacanze di Natale" per intenderci era una sorta di catarsi e di aggregazione sociale, l'operaio vicino all'avvocato, ambedue a ridere e a liberarsi... catarticamente appunto.
Nessuno può e deve decidere su cosa si può ridere.
Mi accomuna il senso della spietatezza. Lui non fa sconti. Philippe è stanco di ascoltare badanti accondiscendenti e seriosi e accoglie di buon grado la sua licenziosità e la sua capacità scanzonata di non metterlo sul piedistallo.
La cosa più bella che farò già dalla prossima settimana è il primo laboratorio di cinema dentro a San Patrignano, finalizzato alla realizzazione di un corto. Realizzeremo il primo cortometraggio prodotto nela comunità che poi verrà proiettato al Festival di Giffoni. Sono molto lusingato di questo progetto.