Protagonista nell'Ispettore generale di Gogol

Papaleo sbarca al Carcano ed è boom di incasso (e di risate)

Protagonista nell'Ispettore generale di Gogol, l’attore guida una compagnia in stato di grazia a un successo clamoroso 

di Roberto Ciarapica
02 Dic 2023 - 16:47
 © Tgcom24

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Il teatro Carcano di Milano fa ancora centro al botteghino con L’ispettore generale, commedia scritta da Nicolaj Gogol nel 1836. Sei spettacoli (dal 28 novembre al 3 dicembre) tutti sold out. Un successo sottolineato anche dai cinque minuti di applausi finali, mentre la compagnia sfilava in mezzo a una platea esaltata. Con la regia di Leo Muscato (che ha riunito in un unico tempo i cinque atti dell’opera originale), una compagnia in stato di grazia guidata da Rocco Papaleo (perfettamente a suo agio nei panni del Podestà) porta in scena una commedia degli equivoci dai ritmi frenetici, un bailamme grottesco accompagnato da una colonna sonora trascinante e avvolto da una scenografia mobile che, ruotando quasi senza sosta, spinge lo spettatore nel vortice irresistibile degli eventi.

In una remota cittadina della Russia zarista, gira voce che un funzionario sia arrivato in città da San Pietroburgo, sotto mentite spoglie, per valutare il funzionamento della burocrazia provinciale. La notizia getta nel panico i notabili del paese preoccupati per le loro sorti dopo anni di malgoverno e corruzione. Il terrore di essere smascherati e puniti li fa scivolare nell’equivoco, in quello scambio di persona attorno a cui ruota l’intera commedia. L’impostore si chiama Chlestakov (Daniele Marmi), un viaggiatore squattrinato e senza scrupoli che approfitta spudoratamente della situazione, ricevendo regali, mance, prestiti con la promessa di chiudere un occhio. Il colpo di scena finale metterà ancora più in ridicolo, se possibile, l’intera comunità.

Vestita da commedia grottesca e colorata, in stile goldoniano, la commedia di Gogol (ispirata a fatti biografici) è un j’accuse durissimo nei confronti della corruzione dei burocrati della Russia del tempo, ma anche la metafora del degrado morale di oggi che il regista tira in ballo con riferimenti quasi impercettibili eppure inequivocabili. La sfrenata comicità di fondo (che conquistò addirittura lo zar Nicola I) nasconde ogni miseria e meschinità dell’essere umano tutto. Gogol non salva nessuno. Sono tutti colpevoli in questa desolante farsa in cui si è “costretti” a ridere. Per non piangere.

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