La cantautrice inglese ha pubblicato il suo attesissimo quarto album, un lavoro intenso che parte dalle vicissitudini personali degli ultimi anni per guardare al futuro
di Massimo Longoni© Simon Emmett
Un'artista d'altri tempi. Non tanto per il genere o l'impostazione musicale, ma per i numeri che si porta dietro e per l'atteggiamento nei confronti della discografia, che nel panorama declinante dell'ultimo decennio, sembrano quelli di un'aliena. Adele Laurie Blue Adkins, ma per tutto il mondo basta il primo nome, torna con un nuovo album a sei anni abbondanti dall'ultimo "25". E già questa, in un periodo in cui è importante esserci sempre, è una notizia. Se si considera che anche "25" arrivava quattro anni dopo il folgorante successo di "21" si capisce che Adele è un'artista che vuole prendersi i propri tempi per fare le cose per bene.
E come la sua autrice "30" è un disco fuori dal tempo. E come tale non soggetto a caducità. Va a pescare direttamente nei modelli alti del soul e dell'r'n'b. L'apertura affidata a un pezzo classico come "Strangers by Nature" in questo senso è emblematica: una canzone che sarebbe potuta uscire dal canzoniere di Rodgers&Hart, con archi a profusione e la voce di Adele che si muove agile ed elegante, appoggiandosi a volte solo su un morbido tappeto di organo. Per quanto meno di impatto rispetto ad altri singoli del passato, "Easy On Me" ha già fatto breccia e si sta conquistando lo status di nuovo piccolo classico del repertorio di Adele. Ma con "My Little Love" si inizia a entrare in territori inesplorati, dove la voce della cantante viene filtrata ed effettata e il percorso melodico è inframezzato qua e là dalle registrazioni di vocali della stessa Adele con il figlio Angelo. Si tratta del primo di un numeroso lotto di pezzi che superano i 6 minuti di durata, anche questa pratica piuttosto anomala nel panorama pop odierno.
Ma si può definire pop Adele? La categoria per lei è alquanto stretta e sminuente, per quanto non manchino alcuni momenti più leggeri, come "Cry Your Heart Out" con il suo ritmo shuffle e i coretti distorti che danno un tocco esotico a un contesto da Brill Building, o "Can Get It", dove addirittura la ritmica di chitarra acustica del ritornello è presa di peso da "Faith" di George Michael.
Ma non sono questi gli episodi che danno la cifra di quello che è veramente "30", quanto piuttosto quelli più intimi, dove la voce di Adele è nettamente in primo piano all'interno di arrangiamenti scarni. Per lo più si tratta dei brani che portano l'impronta del londinese Inflo, uno dei tanti produttori che hanno messo mano al disco insieme a Greg Kurstin, Joey Pecoraro, Ludwig Goransson, Max Martin, Shellback, Tobias Nesso Jr e Shawn Everett. In particolare "Hold On" e "Love Is A Game", dove un'anima profondamente e intesamente black viene screziata da elementi che sdrammatizzano l'atmosfera senza svilirla, come i coretti realizzati dalla stessa Adele. Non è un album semplice "30", non esattamente un disco da sottofondo. E viene da chiedersi cosa ne sarebbe di un disco come questo se la sua autrice non fosse la stella numero uno della musica mondiale attuale. Ma se il nome di Adele può fare da attrazione per un lavoro che altrimenti sarebbe considerato di nicchia per il suo standard qualitativo, tanto meglio.
Si dice che nel dolore e nella sofferenza l'ispirazione tragga il massimo della sua efficienza. Non è sempre così, a volte è un luogo comune. Nel caso di Adele però la formula funziona. Con un plus. Uscita da un momento personale difficilissimo e lacerante la cantautrice britannica è riuscito a mettere tutto questo nelle canzoni di "30" irrorandole però con uno sguardo aperto e positivo al futuro. Ne è uscito il suo disco più completo, coraggioso e in qualche modo anche meno patinato. Quello che non uccide fortifica, e oggi Adele è più forte che mai.