Esce venerdì 5 aprile il terzo album del cantautore romano, che chiude così un'ideale ciclo creativo prima di guardare al futuro. Tgcom24 lo ha incontrato
di Massimo Longoni© ufficio-stampa
Arriva nei negozi venerdì 5 aprile "Colpa delle favole" terzo album di Ultimo. Il cantautore romano, talento emergente che si è fatto notare in particolare con il precedente "Peter Pan", chiude con questo lavoro un'ideale trilogia che racchiude sogni, affermazioni e delusioni di un uomo. "Non mi sento mai all'altezza delle circostanze - spiega a Tgcom24 -. Come aggiro questo problema? Cerco di essere molto cinico e provo a nascondere le parti sensibili".
Lo avevamo lasciato a Sanremo, furibondo al termine di un Festival il cui epilogo lo aveva amareggiato. Quel voto della giuria di qualità, che aveva ribaltato i risultati di quello popolare, lo aveva fatto infuriare al punto da discutere pesantemente con i giornalisti della sala stampa, senza stare a pensare troppo se quella cosa gli avrebbe giovato oppure no. Perché Niccolò Moriconi, con i suoi 23 anni, è fatto così: se crede in una cosa la fa, punto e basta, senza calcoli di opportunismo. Quello che ritroviamo adesso, in un incontro raccolto in un appartamento nel centro di Milano, è tutto un altro ragazzo. Tranquillo e sereno, per quanto possa esserlo una persona che in un anno e mezzo è entrata in un frullatore che lo ha portato dalla periferia romana di San Basilio a pubblicare tre dischi, fare un tour nei palazzetti praticamente sold out e una data all'Olimpico di Roma. "Non è un caso che questo sia l’album più nostalgico, come fossero passati 30 anni dal primo disco - dice lui -. E’ una cosa mia di vedere tanti anni tra il primo e questo lavoro, ma d'altro canto per me è stato un anno molto intenso. Sia a livello lavorativo che personale".
Questa sensazione di aver vissuto tanti anni in uno spazio temporale ristretto si sostanzia nella costruzione dell'album, che di fatto chiude un'ideale trilogia. "In 'Pianeti' avevo raccontato le cose che non avevo e che volevo conquistare, in 'Peter Pan' le ambizioni che si concretizzano e adesso do la colpa alla favole perché non riesco a dare la colpa a me stesso - spiega -. Metaforicamentea mi piace pensare a questi lavori come tre album realizzati nell'arco di 70 anni di vita: il primo scritto dal ragazzo che vuole conquistare, il secondo dall’uomo di mezza età che cerca di godere delle cose che ha conquistato, e 'Colpa delle favole' me lo immagino come l'opera di un uomo di 80 anni che racconta con la consapevolezza di aver dato la colpa alle favole per i suoi sogni e le sue illusioni".
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E infatti se c'è una cosa che colpisce nella scrittura di Ultimo è una maturità che lo emancipa automaticamente dalla maggior parte dei suoi coetanei e che è certificata dal pubblico che lo segue, che non è affatto (o esclusivamente) adolescenziale. "Mi entusiasma sapere che ai miei concerti ci siano molti adulti, c’è una media di età sui 28 anni, tantissimi anche oltre i 50 - afferma -. Sapere di parlare a un 60enne mi dà più ansia che non parlare a un bambino. Non puoi insegnare nulla a quella persona e quindi ti senti in soggezione". Perché nelle sue canzoni ci sono certo le sofferenze dell'amore, ma non solo quelle. Emerge anche tutta una serie di insicurezze e incertezze in parte connaturate con il suo modo di essere e in parte figlie del sogno che sta vivendo cercando di non esserne stritolato. "Non mi sento mai all’altezza delle circostanze che vivo, ed è una cosa che prescinde dalla possibilità di raggiungere bei traguardi - confessa Niccolò -. Per carattere non mi sento mai predisposto a vincere un confronto, con me stesso o con gli altri". E come si supera questo ostacolo autoimposto? "Cercando di essere a volte molto cinico. Mando avanti la parte senza emozioni, cerco di nascondere le parti sensibili, antepongo la mia parte schietta, anche se poi sono una persona piena di domande e cose complicate".
Tra le paure nei testi emerge chiaramente un rapporto conflittuale con il successo, con tutto quello che comporta. Per una persona come Ultimo, alla ricerca costante di cose vere, l'idea di essere sradicato dal suo contesto di affetti e relazioni personali per ritrovarsi in un vortice dove l'effimero è la costante, è una con cui è difficile venire a patti. "Spesso mi sento in colpa nei confronti degli amici di sempre che si ritrovano vittime di questa situazione - dice -. Magari siamo in un ristorante, si crea quel momento di felicità particolare e... questo viene interrotto da una persona che viene al tavolo a chiedere una foto. La magia poi non è che la ricrei. Tutte queste piccole cose mi fanno sentire in colpa". Ma lui ci prova in ogni modo a non farsi succhiare via l'anima. "Quando intraprendi questo tipo di percorso hai tante pressioni e responsabilità - continua -. Per esempio in 'Fateme cantà' spiego che mi dà fastidio quando la gente viene a chiedere la foto. Non per la foto in sé ma perché ormai diventa un trofeo da mostrare ai propri follower per far vedere che sei stato con quella persona. E magari manco conosci le sue canzoni".
Una cosa inconcepibile per uno come lui, che crede veramente in quello che fa. E alla quale prova a ribellarsi a costo di fare scelte da una parte impopolari e dall'altra autolesioniste da un punto di vista economico... "Per questo album ho scelto di non fare gli instore - sottolinea -. So bene che va contro le vendite: oggi se fai instore a tappeto fai disco di platino in due settimane, però è una situazione che trovo brutta a livello simbolico. Se mettessi in vendita una lattina di una bibita al posto del cd la prenderebbero lo stesso per fare la foto. E’ un meccanismo antimusicale. Per la gente è una presa in giro e per me è una sofferenza".
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Non tutti i problemi sono arrivati con il successo. L'ipocondria, alla quale ha dedicato una canzone del disco, lo accompagna per esempio da sempre. Anzi, gli impegni professionali finiscono con l'essere una forma di controllo. "Prima del successo ero ipocondriaco allo stesso modo - racconta lui -, non è cambiata né la quantità di paure né il numero di medici a cui scrivo. Spesso mi viene l’ansia perché mi sento stanco, mi fanno proprio male le gambe. Se sono a casa e non devo fare niente mi metto a letto, ma se sono in tour e devo fare un concerto o me passa o... me passa. La differenza è che quando hai degli impegni non puoi permetterti determinate cose. E così il medico me lo porto in tour…". Proprio "Ipocondria", insieme ad "Aperitivo grezzo", è tra gli episodi più leggeri del disco, almeno a livello melodico. "Mi piace usare una melodia cazzona, allegra, ma allo stesso tempo parlare di un problema che sento molto - dice -. Le ho pensate entrambe anche in funzione dei concerti. Servono delle canzoni che facciano da 'defibrillatore' dopo i momenti down. Ovvio che a me vengano più semplici le ballate, ma non posso manco fare un album con 13 ballate… Diventa un po’ pesante".
A proposito di concerti, adesso arriva il tour, per la prima volta nei palazzetti: 18 date, dove il sold out è quasi la regola, per poi arrivare a "La festa" del 4 luglio, all'Olimpico di Roma, un traguardo che molti nemmeno si sognano dopo decenni di carriera. Anche di fronte a questo tipo di situazione Niccolò però vuole tenere i piedi per terra e non tradire la sua attitudine. Niente effetti speciali, niente parata di ospiti per attirare pubblico ma con i quali ha poco a che spartire. Il pubblico è il suo, e le vendite dei suoi primi due lavori lo certificano, e se ospiti ci saranno, avranno un senso, come è stato per il duetto sanremese con Fabrizio Moro (un fratello) o la partecipazione di Antonello Venditti (un padre putativo) al video di "Fateme cantà". Lo show sarà invece, se possibile, più intimo ancora del solito. "Ovviamente ci sarà una certa cura per le scenografie - spiega -, ma sarà comunque una cosa molto intima. Secondo me più gli spazi si allargano e più creare un momento di intimità può essere magico".
Poi, una volta chiuso il cerchio di questi tre album e conseguenti tour, sarà il momento di tirare il fiato e pensare al futuro. Che significherà sicuramente un cambio di scrittura ("Anche se bisogna stare in equilibrio tra il non ripetersi e il non tradire il proprio stile"). Ma con una certezza, di avere il proprio percorso nelle mani. "L’ipocondriaco è molto contraddittorio. Quello che ho sempre pensato per uscire un po’ dall’ipocondria è che magari pagherò un conto domani o tra 10 anni ma, come canto nell'ultimo verso de 'La stazione dei ricordi', il pezzo che chiude l'album, 'vince chi si sveglia, vive, muore e spera dentro le sue mani' - afferma -. Alla fine me la decido io la vita che voglio vivere. Quella dell’ipocondria è una metafora. Nella vita non esiste un piano B, ho sempre pensato che il piano B sia una cazzata, esiste quello che tu vuoi fare, e basta".
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