Il regista di scena a Milano con uno spettacolo che affronta il tema dell'appartenenza nel contesto dell’Europa orientale
© Kornél Mundruczó Proton Theatre
L’ungherese Kornél Mundruczó sbarca per la prima volta al Piccolo Teatro con uno spettacolo che affronta i temi dell’identità di genere e dell’appartenenza etnica, nel contesto dell’Europa orientale. Dal 13 al 15 marzo allo Strehler di Milano va in scena "Parallax" con cui il regista insieme alla sua compagnia indipendente Proton Theatre raccontano tre generazioni di una stessa famiglia, in un piccolo appartamento, a Budapest: una saga familiare che dipinge un quadro profondamente toccante dei condizionamenti esercitati dalle convenzioni, tra l’ebraismo dell’Europa orientale e la comunità LGBT+, vittima in Ungheria di innumerevoli restrizioni.
In "Parallax" la nonna rifiuta una medaglia d’onore, conferitale in quanto sopravvissuta all’Olocausto; la madre deve fornire una prova della propria identità ebraica, per ottenere un posto a scuola per il figlio, nella loro nuova dimora di Berlino; il figlio adulto è in cerca della propria dimensione di uomo omosessuale. Tutti si pongono le stesse domande: possiamo liberarci dai condizionamenti identitari che abbiamo ereditato? Quando l’identità è un privilegio e quando è invece un peso? Tutto dipende dal punto di vista.
© Nurith Wagner Strauss
Il titolo "Parallax" è un termine descrive il cambiamento apparente della posizione di un oggetto, se osservato da diverse angolazioni. Kornél Mundruczó (autore di "Pieces of a Woman", presentato alla 77esima edizione del Festival di Venezia dove la protagonista, Vanessa Kirby, ha ottenuto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile) spiega di aver scoperto "il termine 'parallasse' grazie al thriller 'The Parallax View' di Alan J. Pakula. Questo concetto è applicato nelle scienze o nelle arti per mostrare come il cambiamento di posizione dell’osservatore possa modificare radicalmente l’osservazione di un oggetto. Nel rapporto con la storia, tutto dipende dal punto di osservazione! Il dato di partenza è l’esperienza della Shoah, che si svolge negli anni Quaranta, ma il racconto si sposta verso la prospettiva di una madre di famiglia di oggi e di suo figlio, che incarna il futuro. Per lui, manifestare la propria identità omosessuale è più urgente che affermare l’identità ebraica. Vive a Berlino e torna a Budapest, dove incontra altri giovani gay. Ma anche loro hanno diverse visioni dell’identità queer, a causa del differente contesto sociale e culturale. La prospettiva – intesa come posizione politica, linguistica e culturale – in cui ci si trova e da cui si parla, contribuisce a creare identità estremamente distinte in uno stesso Paese o in una stessa famiglia".
© Nurith Wagner Strauss
Il regista spiega uno dei temi dello spettacolo, la Shoah: "L’interesse che, in un’ottica teatrale, manifesto per il tema della Shoah risiede nella possibilità di mettere in luce tre diverse visioni. Punto di partenza di Kata Wéber è la storia di un trauma familiare; questo rende per noi essenziale mostrare la continuità che esiste tra generazioni. Quali sono le diverse prospettive su uno stesso trauma o una stessa crisi e che tipo di identità può scaturirne? Rivolgiamo lo sguardo al passato, attraverso la nonna che ha subito l’orrore della Shoah, ma anche al presente, tramite i pregiudizi della nostra generazione. Inoltre, il legame con i più giovani aggiunge un altro punto di vista fondamentale nel racconto della Shoah. Le tre parti dello spettacolo sono dedicate a queste prospettive, che compongono una storia generazionale, senza minimizzare né attribuire lo status di verità assoluta a nessuna di esse".