Arriva in Italia per due concerti la band inglese. Tgcom24 ha parlato con il batterista Gavin Harrison
di Massimo Longoni© ufficio-stampa
Arrivano in Italia per tre concerti, il 21, 22 e 23 febbraio, i Pineapple Thief. Una delle band più interessanti del panorama progressive, si presenta sulla scia dell'utimo album "Dissolution" e con la nuova formazione che vede alla batteria Gavin Harrison, già nei Porcupine Tree e nei King Crimson. "Ci definiscono prog ma per me esiste solo la distinzione tra buona e cattiva musica - dice a Tgcom24 -. Di sicuro siamo liberi dalle regole del pop".
Con alle spalle quasi vent'anni di carriera, i Pineapple Thief di Bruce Soord, fondatore e leader dalla band, sono esplosi con gli ultimi lavori, che hanno ottenuto una risonanza mondiale. Prima "Magnolia" (2014), poi "Your Wilderness" e infine "Dissolution", uscito nell'agosto del 2018. Proprio questo album vede per la prima volta la collaborazione di un pezzo da 90 come Gavin Harrison. Con una carriera decollata come session man richiestissimo (ha lavorato tanto anche con artisti italiani, da Claudio Baglioni a Eugenio Finardi passando per Franco Battiato, Alice e Patty Pravo), negli ultimi 15 anni Harrison è diventato come membro stabile di band come Porcupine Tree e King Crimson. Fino ad arrivare ai Pineapple Thief. "Sono sempre alla ricerca di nuovi artisti e band interessanti con cui lavorare - spiega lui -. Quando tre anni fa i Pineapple Thief si sono fatti avanti e ho sentito la loro musica ho pensato che sarebbero stati un’ottima casa in cui lavorare. Il loro stile musicale è aderente con il mio modo di suonare".
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Il tuo ingresso ha cambiato il sound del gruppo?
Completamente. Prima che entrassi io la band ha avuto due batteristi diversi, il cui stile era molto diverso dal mio. Quando cambi un membro di un gruppo tutto il sound cambia. Lo stesso è accaduto ai Porcupine Tree nel 2003, quando ho preso il posto di Chris Maitland. E ci sono soprattutto due ruoli che danno un’identità forte a una band: il cantante e il batterista.
Hai anche partecipato alla scrittura del disco: l'intesa sul piano compositivo è stata facile?
La scrittura è stata portata avanti principalmente da me e da Bruce Soord. Purtroppo abitando lontani ci siamo dovuti adattare a quello che è il metodo di lavoro di questi anni, ovvero la collaborazione a distanza. Io gli ho spedito un po’ di idee, ritmiche, parti di tastiera e lui ha scritto i testi, le melodie, aggiunto accordi e mi ha rimandato le cose a cui io ho apportato altre modifiche. Abbiamo cercato di rendere il lavoro il più simile a quello che avremmo fatto insieme in uno studio. Fortunatamente quando sei in un periodo felice le idee ti vengono velocemente senza problemi e io e Bruce abbiamo avuto una grande sintonia circa la direzione in cui andare.
Come è stato suonare le parti di batteria del vecchio repertorio?
Le ho rivoluzionate. E’ stata la band stessa a dirmi che se avessimo messo in scaletta qualche canzone vecchia avrei dovuto reinventarla completamente. Incluso l’arrangiamento. Quando affronti una canzone fatta in precedenza da qualcun altro puoi copiarla o reinventarla e per me la prima cosa è impensabile: è folle che due musicisti diversi tentino di fare la stessa cosa. Lo stesso accade nei King Crimson. Per i Pineappple Thief Bruce mi ha mandato i file multitraccia delle vecchie canzoni privi delle parti di batteria, in modo che potessi inventare senza condizionamenti.
Hai lavorato a lungo come session man e poi sei entrato in band importanti. Qual è la differenza?
In una parola la libertà. Quando lavori per un altro artista devi fare quello che vuole lui. Per esempio quando ho suonato per Claudio Baglioni, pur con tutta la libertà che lui mi ha lasciato, dovevo suonare in modo da esaltare la sua musica, senza distrarre dalla voce del cantante che in quel caso è il centro di tutto. Ma in una band io sono coinvolto nella scrittura, gli arrangiamenti sono figli delle mie idee. E questo dà anche più soddisfazione. Per tanti anni sono stato solo un session man, facendo del mio meglio per essere aderente a ciò che stavo suonando, ma spesso non era il mio tipo di musica.
A proposito del tuo tipo di musica, hai sempre fatto parte del mondo prog, che per qualcuno è una musica nostalgica, rivolta al passato.
Negli anni 70 non era chiamata prog. Quando c’erano i Led Zeppelin, i Genesis, i King Crimson, Pink Floyd era semplicemente rock. E’ stata categorizzata così negli anni a venire e la gente ha iniziato ad attaccare questa etichetta alle band più sperimentali di quel periodo. E’ un nome strano da dare a un tipo di musica ma per quanto mi riguardo qualsiasi genere è strano, è un concetto per me alieno: per me esiste solo la buona musica e quella cattiva.
Ma qual è l’importanza di fare un tipo di musica come questo al giorno d’oggi, in cui impera il pop in tutte le sue forme?
Per me "progressive" significa semplicemente non essere confinati nei tre minuti della canzone pop, con una struttura canonica che prevede introduzione, strofa e ritornello. Nel prog c’è libertà, puoi andare ovunque. Non è una musica egocentrica, è semplicemente un modo di scrivere senza dover fare attenzione alle regole del pop per poter essere passati in radio. Il ché non toglie che possano esserci elementi pop anche in questa musica.
LE DATE IN ITALIA
21 febbraio 2019 – Firenze Viper Theatre
22 febbraio 2019 – Roma Largo Venue (special guest O.R.K.)
23 febbraio 2019 – Milano Santeria Social Club (special guest O.R.K.)