A TORINO PER IL JAZZ:RE:FOUND

Pugile, il trio torinese che suona l'elettronica come fosse free jazz

I loro live sono imprevedibili come in un ring, si parte con i canonici brani del loro "Round Zero" e si finisce in un dialogo con il pubblico. Come sia possibile Tgcom24 lo ha chiesto direttamente a Leo Leonardi, uno dei componenti della band che il 3 dicembre si esibisce a Torino

03 Dic 2015 - 15:20

    © ufficio-stampa

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Ascoltando il promettente album d'esordio dei Pugile si rimane affascinati dalla commistione tra le note elettrificate, dal sapore teutonico, e le calde melodie dei Caraibi. Ma a parlare con Leo Leonardi, bassista del trio - gli altri sono Matteo, alla batteria, ed Elia, alle macchine - non è questo che colpisce. Fosse per loro l'unico album esistente sarebbe quello dei live. Round zero infatti è soltanto la partitura, seppur pregiata, di un discorso che rimanda al situazionismo degli anni '60: un dialogo tra i Pugile e il pubblico che cambia in ogni contesto e si riforma. Come in un ring dove le botte sono la parte più interessante della vita. Chi vorrà potrà scoprirlo a Torino il 3 dicembre al Jazz:Re:Found Festival.

"Questo è un album da live, è un flusso di pensieri - spiega Leo Leonardi a Tgcom24 -. Ci sono locali in cui puoi sparare il volume molto alto e fare rumore e ci sono casi in cui il pubblico è più tranquillo e il locale è molto più piccolo per cui il concerto prende una piega diversa. Le tracce vengono contestualizzate in un luogo".

Come sono nati i Pugile?
Un po' per amicizia, un po' per lavoro. All'inizio ci siamo incontrati io e Matteo, il batterista, e poi per caso è arrivato Elia che è il ragazzo che sta alle macchine. E' entrato nel nostro sotterraneo, avevamo uno studio tempo fa e cercando qualcuno con cui lavorare per fare siti web in realtà abbiamo trovato qualcuno con cui suonare. Adesso facciamo l'uno e l'altro.

E questo album?
Nel momento in cui abbiamo deciso di suonare assieme, è nato da una serie di sperimentazioni, che in realtà non aveva una logica di scrittura se vogliamo dire così canonica, nel senso che all'inizio ci interessava di più trovare un metodo per riuscire a fare musica elettronica improvvisando, è stato questo l'inizio di tutto. Durante queste improvvisazioni abbiamo estrapolato dei pezzi che sono diventati i nostri canoni. Ci sono brani fatti finiti ma lo scopo è rielabolarli durante il live. Il principio è sempre l'improvvisazione.

Perché Pugile?
La vita del pugile per noi è un'etica, un immaginario che riutilizziamo sempre. E' un concetto romantico, infuso anche di cinematografia. Il pugile non è mai l'eroe nel film, è quello che si spezza le ossa, che prende un sacco di botte. La cosa fondamentale è l'allenamento. Il pugile quando smette di allenarsi è un pugile morto, e noi abbiamo usato questa metafora per descrivere la nostra maniera di lavorare. Fino a quando suoneremo e cercheremo di evolverci allora saremo vivi, quando non avremo più lo stimolo per allenarci moriremo. E' un metodo per migliorarsi. Il combattimento non è una questione di violenza ma è una questione di forza mentale che puoi applicare a qualsiasi mestiere della vita. Chiunque può esserlo, anche il pubblico stesso che esce dal lavoro e si sbatte per venerci a sentire.

Parlando di cinematografia, che film sarebbe questo album?
Sicuramente è un film in bianco e nero, molto lento, in cui le persone si parlano e si ascoltano parecchio.

Punti di riferimento musicali più importanti?
Tanta musica elettronica, da Londra a Berlino. Ma anche attrazione verso l'Africa. Ci piace ascoltare Bonobo. Molti dei ritmi che utilizziamo arrivano dai Caraibi. Il groove arriva da sud e l'elettronica da nord.

Nel panorama italiano, non siete tantissimi.
A Torino c'è una bella scuola di musica elettronica. Ci sono i Niagara, i Drink to me, gli Aucan anche se poi le sonorità sono diverse. Da pochissimo per un'etichetta torinese, INRI, è uscito Dardust, che è un pianista ma anche lui cerca di collezionare eletronica e acustica contemporaneamente. Fuori questo tipo di musica è già sdoganata, qua fra mezzi, tempo, e persone che sanno apprezzarla.. magari è più difficile. A noi capita spesso di andarli ad ascoltare per capire come suonano.

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