Il duo composto da Alessandro De Santis e Lorenzo Francese torna con "Potrebbe non avere peso", un Ep con sei nuovi brani
di Massimo Longoni© Simone Biavati
Dopo il singolo "Ho paura di tutto" i Santi Francesi pubblicano "Potrebbe non avere peso". Un Ep con sei brani in cui emerge forte un'impronta rock anni 2000, frutto di un esperimento di semplificazione e immediatezza che tiene conto solo di un'urgenza espressiva del duo. Il titolo dell'Ep e di una delle canzoni spiega un concetto su cui Alessandro De Santis e Mario Lorenzo Francese ragionano da tempo e che va oltre la semplice idea di musica: ogni canzone, e quindi parola e suono, è concepita liberamente, senza immaginare un obiettivo o un destinatario. Potrebbe quindi rimanere sospesa, come un’eco. Ma c’è qualcosa di magico che accade quando quei suoni, quei concetti, quelle immagini raggiungono qualcuno: se le canzoni vengono ascoltate, allora sì che acquistano un valore, un peso, una rilevanza, trasformandosi in qualcos'altro.
Il vostro modo di procedere finora è stato abbastanza anomalo nel nostro panorama discografico: avete fatto Sanremo a cui non è seguito un album, poi qualche singolo e ora un Ep. L'impressione è che pubblichiate solo quello che ritenete essenziale in quel momento senza seguire troppe regole.
De Santis: Ho sentito di recente dire da Pif una cosa meravigliosa: non è necessario dire la propria opinione in qualunque momento su qualunque cosa. Se ho da dire qualcosa di utile, ok altrimenti meglio stare zitti. Più o meno il concetto secondo me è lo stesso. Per noi sarebbe bellissimo lavorare come si faceva fino a vent'anni fa. Pubblichi l'album, fai il tour, ti fermi, pubblichi l'album, fai il tour... quella cosa per noi sarebbe ideale, ma è cambiato tutto.
Francese: Questo è sicuramente vero. D'altra parte in questi mesi ho capito che per descrivere un periodo artistico, dare una fotografia di quello che siamo adesso, un singolo non basta. Ci vogliono altre cose: un Ep o addirittura ti permettono un racconto più complesso.
Qual è il tema unificante delle canzoni di questo Ep?
De Santis: Ci hanno detto che hanno messo tutti i nostri testi sull'intelligenza artificiale per tirare fuori le cinque parole chiave: sono uscite paura, amore, quiete, voce e cose. Sicuramente, così come nel singolo, la paura è il tema portante. Una paura che può essere paralizzante in determinati periodi ma che devi sempre cercare di accettare, di affrontare. E soprattutto ci siamo detti che se hai vent'anni e non hai paura sei completamente inconsapevole di quello che stai vivendo.
Ti riferisci al nostro periodo storico?
© Ufficio stampa
De Santis: Non solo. Io forse avrei avuto una paura tremenda di tutto quanto anche se fossi nato negli anni 70 e se avessi fatto i vent'anni negli anni 90. Di questo periodo storico sicuramente ci sono tante cose che non ci piacciono e che ci fanno storcere il naso, però alla fine il nostro modo di scrivere non è mai verso l'esterno, è sempre verso l'interno. Tutti questi pezzi parlano delle cose che ci passano dentro, delle cose di cui abbiamo paura. C'è molto romanticismo e molto amore, che alla fine per noi è sempre il tema fondante di tutto. E poi Mario dice spesso che alla fine è quasi più il suono che tiene insieme tutto rispetto
Francese: Per chiudere i pezzi di questo Ep ci siamo chiusi in una casa per sette giorni con il nostro batterista e quindi naturalmente si è creato anche un suono che unificasse. C'erano anche pezzi vecchi che prima suonavano in maniera totalmente diversa e abbiamo deciso apposta di convertirli in modo che aderissero a ciò che siamo oggi. Quindi sicuramente il suono unifica tutto.
Un suono che si distingue in maniera abbastanza netta da ciò che va per la maggiore in Italia, lo si è visto anche allo scorso Festival di Sanremo. Quali sono i vostri punti di riferimento e come cambiano a seconda dei momenti?
De Santis: Partiamo dal presupposto che secondo me quest'album è un po' più rock, è stato come tornare alle cose che ci facevano gasare quando eravamo adolescenti. Entrambi veniamo da quelle radici, io più hard rock ed heavy metal mentre Mario faceva prog. Quindi veniamo da quel mondo lì, estremamente suonato, dove scrivi il pezzo partendo dal pianoforte e la chitarra. Poi abbiamo un sacco di artisti che ci hanno ispirato e che ci hanno anche proprio mosso: i Twentyone Pilots, su tutti, quando li abbiamo scoperti per me è stato proprio tipo respirare. Ho sentito questa band assurda con queste strutture matte però con 3 miliardi di stream: mi hanno dato proprio a 16 anni il modo di pensare "Si può fare!". Sono fan degli Ark, una band folle svedese, estremamente sottovalutata. Spesso ci penso:, perché mi piace la musica che facciamo e piace a poche altre persone? Perché mi piacciono gli Ark che non ascolta nessuno probabilmente!
Gli Ark sono stati celebri da noi con un paio di singoli a inizio anni 2000 e il fatto che quel genere di band oggi non compaia più sulle scene mainstream probabilmente spiega molto di come la discografia è cambiata negli ultimi anni.
De Santis: Se tu prendi i loro album e li ascolti tutti in fila, per me sono geniali. A livello secondo me di trattamento dei pezzi, quindi del lavoro di arrangiamento che si fa su una melodia, gli Ark per me sono il progetto a cui noi somigliamo di più. Ogni due battute senti un suono, una melodia, una progressione che è stata messa apposta, pensata, arrangiata, mille strumenti, mille cori, tutto molto grande, molto anche gotico in certi punti.
"Potrebbe non aver peso" si riferisce al fatto che al momento della scrittura non si sa che effetto avrà una canzone su chi l'ascolta. Questa cosa vi condiziona nella scrittura?
© Simone Biavati
De Santis: Stiamo cercando di lavorare in modo da farci condizionare sempre meno e credo si sia sentito già questi pezzi. Già non ci aspettavamo che "Ho paura di tutto" riuscisse a passare in radio, il fatto che sia accaduto per noi è importante.
Francese: Non credo si possa prevedere se una canzone può funzionare o piacere a tante persone. Se si entra in studio e si fa questo ragionamento, secondo me si rischia poi di mettere effettivamente da parte quello che a te piace e che a te vuoi fare, che tu vuoi mettere nei pezzi. E abbiamo cercato sempre di fare questo, cioè di ascoltare il più possibile quello che vogliamo fare noi, quello che piaceva noi e poi quello che succede succede.
Sono un po' di anni che il rock sembra essere messo in secondo piano rispetto al pop...
De Santis: Devono cambiare delle cose intorno a noi più che altro. In "Ho paura di tutto" diciamo "ho paura di perdermi nel pop" ma noi facciamo pop. Io ascolto pop, facciamo pop e non c'è da tirarsela in nessun modo. Però negli anni sicuramente abbiamo spesso percepito la sensazione di essere tagliati fuori da un determinato tipo di mondo. Forse crescendo ti viene anche da dire ben venga. A me personalmente dispiace che il pop in Italia in questo momento sia quello che è, perché per me il pop non è questo il pop. È gli Ark, i Killers, un sacco di artisti che all'estero anche in questo momento sta facendo delle cose per me super fighe.
La sensazione però è che qualcosa in Italia si stia muovendo in questo senso. Siete d'accordo?
De Santis: C'è un'onda che riporta suoni anni 90. Non ci stiamo inventando niente. Semplicemente in questi 15 anni abbiamo fatto il pieno di questi suoni plasticosi sparati in faccia fortissimi. E fino a quando la tecnologia non ci fornirà dei nuovi suoni crediamo sia giusto ricominciare a giocarsela tutti quanti con la chitarra, prendendo una progressione armonica e arrangiarla per come si fa normalmente, senza puntare al ritornello che deve rimanere in testa e che deve arrivare dopo 20 secondi.
Avete detto che alcuni pezzi di questo Ep erano già pronti da tempo ma ora li avete rivisitati con un sound diverso. Perché sono usciti dal cassetto ora?
Francese: Molto spesso questo modo discografico di procedere sempre con singoli ti impedisce di pubblicare le tue canzoni. Finisce con l'essere normale che ti ritrovi a pubblicare una canzone di due anni fa, perché se tu non le pubblichi subito quelle canzoni è un peccato buttarle. Secondo me, tra complete e incomplete, abbiamo una cosa come 80 canzoni scritte in questi anni e che non pubblicheremo mai. Magari un giorno faremo un suondcloud aperto con tutti i provini. Finché il concetto per una discografica e per il pubblico non è ascoltare quello che vuole dire un artista, ma è usufruire voracemente di quello che fa... È un cane che si morde la coda: noi vogliamo dire delle cose, però magari non vendono. Cosa facciamo? È normale la paura...
È difficile essere artisti con questo tipo di concezione della musica nel panorama discografico odierno?
De Santis: Più che essere artisti è difficile stare bene con la testa. Secondo me siamo nel periodo storico in cui puoi scegliere se fare successo o meno. Lo devi decidere tu però e anche lì forse c'è un po' di paura di andare a ficcarsi in delle zone in cui non saremmo capaci neanche di stare in piedi probabilmente. Quindi cerchiamo di scappare da queste zone con questa musica un po' invendibile... Però devi tornare a casa la sera a guardarti allo specchio senza volerti prendere a schiaffi da solo. Quindi devi fare secondo me quello che ti viene di fare senza pensare all'obiettivo. Perché tanto non vai da nessuna parte: con tutti i soldi del mondo, con tutti i risultati del mondo È incredibile quanto benessere e felicità siano due cose totalmente separate fra loro.
20 novembre | Venaria Reale (TO) – Teatro della Concordia
23 novembre | Padova – Hall
26 novembre | Firenze – Viper Theatre
29 novembre | Bologna – Estragon
03 dicembre | Molfetta (BA) – Eremo Club
05 dicembre | Napoli – Casa della Musica
10 dicembre | Milano – Fabrique
13 dicembre | Roma – Atlantico