La band presenta a Tgcom24 il nuovo album "Manifesto Tropicale"
di Santo Pirrotta© ufficio-stampa
Tutto è nato a Barcellona, per caso. Daniel, Eduardo, Ramiro e Ricardo non pensavano di formare una band, erano degli artisti di strada: da Porto Alegre alla Spagna, fino all'Italia. Dove i Selton festeggiano il quarto album da ("orgogliosi") indipendenti. "Manifesto Tropicale" arriva a un anno da "Loreto Paradiso" e a Tgcom24 il chitarrista Ramiro Levy spiega: "L'incontro di nazioni e culture è diventato parte forte della nostra identità, anche musicale".
Ramiro, raccontaci questo Manifesto Tropicale, il titolo è molto curioso...
L'ispirazione viene dal 'Manifesto Antropofago' di Oswald de Andrade scritto durante il Modernismo in Brasile, era il 1928 e si teorizzò il 'cannibalismo culturale': Il Manifesto faceva una ricerca su chi fosse il brasiliano vero, se indios, portoghese o africano... e si arrivò a definire il popolo brasiliano come abituato a ricevere stimoli e mescolarli per creare qualcosa di autenticamente brasiliano. L'incontro di nazioni e culture è diventato parte forte della nostra identità, anche musicale.
Esatto, è un po' quello che avete cercato di fare con la musica...
Ci stiamo provando da tempo. La nostra è una sintesi di tante cose, influenze musicali e lingue. Il manifesto ci ha fatto riflettere, noi quattro siamo stranieri, io ho il papà egiziano, nonno greco, il batterista ha origini sia tedesche sia portoghesi, e poi Polonia ecc. Siamo cresciuti in Brasile, ci siamo spinti a viaggiare, oggi viviamo a Milano. Come vedi è un argomento che ci appartiene e che è molto attuale.
A giugno avete lanciato un singolo "CuoriCinici", un po' diverso dalle altre canzoni dell'album o sbaglio?
E' un pezzo a sé, che parla delle difficoltà delle persone a stare da sole. Concettualmente è distante dal disco, è vero. Però fa parte del nostro antropofagismo.
Scrivete sempre più in italiano e c'è il supporto di Dente...
Lui ci aiuta sempre, è molto bravo con le parole e di solito fa una revisione finale...
Qual è la difficoltà di essere indipendenti?
Forse quella più grossa è che devi fare anche tanto lavoro manageriale e non solo artistico. Siamo una macchina da guerra e ognuno di noi ha dei ruoli ben definiti, dalla grafica alla Siae alla comunicazione, ai contenuti.
Come siete cambiati dai tempi di Fabio Volo?
Siamo sempre gli stessi nell'essenza, è l'alchimia che c'è tra di noi e che rimane immutata ci fa andare avanti. Certo quando suonavamo per strada a Barcellona era tutto molto più easy, era una pausa, una sorta di anno sabbatico. Poi abbiamo deciso di provarci come band. Ed è cambiato tutto.
Avete collaborato con tanti artisti italiani, da Jannacci a Silvestri, c'è un sogno?
Uno che ci è venuto in mente anche per questo disco è Ghali. C'è molta affinità: siamo entrambi stranieri e mischiamo l'italiano con la nostra lingua. E' anche molto positivo nel suo messaggio, nei testi, nell'uso dell'italiano. Prima o poi fare qualcosa insieme sarebbe un onore per noi.