AL TEATRO FRANCO PARENTI DI MILANO DAL 7 AL 17 NOVEMBRE

Silvio Orlando mette in scena la solitudine dell'uomo: "E' una sorta di anoressia dell'anima..."

L'attore partenopeo è il protagonista di "Si nota all'imbrunire (Solitudine da paese spopolato)", di Lucia Calamaro, in scena al Teatro Franco Parenti di Milano dal 7 al 17 novembre.

di Antonella Fagà
07 Nov 2019 - 09:06
 © Ufficio stampa

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"Anch'io a volte ne sento il richiamo... ", così Silvio Orlando parla della solitudine, "anoressia dell'anima", come la definisce lui stesso, di cui "soffre" il protagonista dello spettacolo "Si nota all'imbrunire (Solitudine da paese spopolato)", in scena al Teatro Franco Parenti di Milano dal 7 al 17 novembre. Scritta e diretta della brava Lucia Calamaro la pièce vede in scena oltre all'attore partenopeo, anche Vincenzo Nemolato, Roberto Nobile, Alice Rendini e Maria Laura Rondanini.

Quando Silvio, uomo di mezza età, che si è ritirato da tre anni, chiuso in se stesso, in un villaggio abbandonato lontano da tutto e da tutti, riceve la visita dei figli, arrivati per la messa dei dieci anni dalla morte della madre, per l'uomo, ormai preda del suo stesso isolamento, che lo porta a non voler neppure più camminare, è il momento della resa dei conti.

Questa, in breve, la trama dello spettacolo che, come spiega Lucia Calamaro, trova le sue radici in una piaga, una maledizione, una patologia specifica del nostro tempo alla quale la socio-psicologia ha dato un nome “solitudine sociale". Tgcom24 ha incontrato Silvio Orlando "insperato e meraviglioso interprete" (così lo definisce la Calamaro, ndr) della pièce. 

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Di quale solitudine parla lo spettacolo e quale è il suo rapporto con questa "patologia sociale"?

Io paragono la solitudine ad una sorta di anoressia dell'anima. Non ho mai provato l'anoressia, anzi tutt'altro, ma credo che si tratti un po' della stessa cosa. Quel poter fare a meno degli altri, quel voler essere autarchico, indipendente da altri, quel rifuggire dalla realtà arrogante e volgare. Una sorta di piccola rivoluzione individuale, che purtroppo, come sappiamo spesso succede per le piccole rivoluzioni individuali, spesso finisce in tragedia individuale.

Silvio Orlando... e la sua solitudine? 

La sento dentro, come un richiamo, e il mio tratto malinconico abbastanza evidente, quella nota dolente che porto sempre in scena anche quando faccio ridere. Quindi io lo capisco questo Silvio e mi chiedo se non abbia un po' ragione. Non so se c’è un ritorno da questa patologia, in fondo si sta bene da soli e ci si basta, l’insofferenza per gli altri è un sentimento molto diffuso oggi, siamo diventati degli esseri autarchici che riescono a vivere da soli in maniera soddisfacente. 
Per me fare teatro è una forma di solitudine sociale, è un rifugiarsi in un luogo e in uno spazio in cui stare bene, qualcosa di molto vicino alla solitudine dal mondo. Per me quindi anche il teatro in fondo è un paese... spopolato, in cui vivere una sorta di decrescita felice. 

Cosa succede a Silvio Orlando a teatro? 
Ho cominciato a fare teatro perché mi riusciva naturale e facile, senza sforzo. Mentre tutto fuori mi risultava difficile appena sono arrivato al teatro ho sentito che era il mio posto, che mi permetteva di arrivare a chiunque. Ho trovato l'epifania.

Dopo "Lacci" un altro testo contemporaneo...

E vitale per me poter dialogare con i nostri contemporanei, diminuire la distanza con il pubblico seduto in sala. Questo è lo scopo del teatro, che è nato per gli analfabeti, quelli che non sapevano leggere e scrivere andavano a teatro per sentirsi raccontare delle storie. Poi col tempo il teatro si è come rassegnato a raccontare qualcosa di già successo e ha smesso di essere luogo di dibattito civile. Oggi sembra più un club elitario, che fa cose raffinate che però non parlano al popolo. 

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Come è nata la collaborazione con Lucia Calamaro?
Ho visto un paio di spettacoli di Lucia, che di solito fa cose abbastanza radicali, per un certo tipo di pubblico e per teatro di ricerca, ma che aveva deciso di ampliare la sua gamma. Ho letto il testo e ho pensato che ci fossero gli elementi per arrivare al pubblico, a tutti. Ne abbiamo parlato e siamo arrivati ad un punto comune. Il suo linguaggio è concreto, ironico, fruibilissimo, semplice e pieno di pathos, che è una cosa difficile da trovare nel teatro contemporaneo, perché il teatro di solito ti fa ragionare ma non commuovere.
Insomma abbiamo abbiamo deciso di lavorare insieme, abbiamo fatto un lungo lavoro di prove, abbiamo sfoltito tutto il materiale che avevamo raccolto, dalla storia di Lucia e da quelle di tutti gli attori per capire cosa effettivamente fosse necessario per la nostra storia comune e alla fine siamo arrivati ad una sintesi 

Nella commedia "Lacci" si parlava di famiglia e anche qui in qualche modo viene chiamata in causa. Qual è il suo rapporto con la famiglia?

Per me la famiglia è stata un po' interrotta, mia madre è morta che ero bambino. La sua assenza ha creato dei rapporti complicati, con mio padre, con i miei fratelli e reso tutto più difficile. Anche la mia "famiglia" attuale è sui generis. Son sposato e anche felicemente, ma non abbiamo figli quindi forse sarebbe meglio parlare di relazione di coppia. Comunque credo che la famiglia sia la cellula formativa di tutto e a teatro è un ottimo luogo di osservazione, il microcosmo dove avviene tutto ciò che succede nella società...

La famiglia e la società sono destinati alla solitudine?
Siamo sempre più individui e meno moltitudine, più "io" e meno "noi" e quando ti trovi a dover uscire dalla collettività per qualche ragione, anche solo perché sei diventato vecchio, la frustrazione è maggiore. Insomma venirne fuori non è così facile. 

Silvio a teatro e al cinema, star di "The New Pope"...

Al cinema sei in balia, soprattutto se sei l'attore, si ha poco potere, puoi essere bravo quanto vuoi, però poi c'è il gusto del pubblico, il regista che decidono le tue sorti. 
Il teatro lo domini, lì posso creare il mio percorso e lo considero la mia casa per questo... il cinema è stato un bel regalo che ho avuto, però è molto più violento, al cinema devi cercare di capire cosa vuole il regista, sei un esecutore, devi solo ascoltare, capire. "The New Pope" è stata una bella avventura, oggettivamente molto potente e inaspettata con tutto il clamore e il successo che ne sono conseguiti. 
Se posso confessarlo per apprezzare appieno il cinema e dominarlo mi sarebbe piaciuto fare il regista, è lui che ha in mano il potere.

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