DISSACRANTE E IMPEGNATO

Addio Prince, genio e gene di una generazione

Prince non ha rivoluzionato la musica ma l’ha cambiata per sempre. Anima nera, voce inconfondibile e una statura musicale con pochi simili. Da "1999" a "Sign o' the times" sempre all'avanguardia

di Sauro Legramandi
22 Apr 2016 - 16:26

di Sauro Legramandi
@Sauro71

“Sometimes it snows in April”. Qualche volta nevica in aprile. Lo cantava Prince Rogers Nelson esattamente trent’anni fa. "Qualche volta i miracoli accadono” era il senso del brano contenuto nell'album "Parade", dedicato al defunto Cristopher Tracy, gigolò interpretato proprio da Prince nel film "Under the Cherry Moon". Chi ama Prince ha sperato che nevicasse nel tardo pomeriggio di giovedì 21 aprile. Un’occhiata fuori dalla finestra della redazione e una sbirciata su Twitter per rendersi conto che era una triste illusione. Una maledetta illusione.

Perché Prince non può morire in un ascensore a casa sua, a Paisley Park. 

Chi ha scritto "Purple rain" o "Sign o the times" non può morire da solo, in uno spazio anonimo proprio nel suo quartiere generale. Non può andarsene chi ha fatto sognare con intro come "I was dreamin’ when I wrote this, forgive me if it goes astray” ("1999") oppure “U don’t have 2 to be beautil 2 turn me on, I just need your body baby” ("Kiss") scritto proprio così. Non può sparire così chi ha cantato "I Wanna Be Your Lover", "Let's go crazy" e "Around The World In a Day" e ha cambiato la musica.

Difficile non scivolare nella demagogia o nell’agiografia per chi ha amato Prince. Il genio di Minneapolis (genietto è offensivo, oltre che riduttivo) non ha rivoluzionato la musica ma l’ha cambiata per sempre. La rivoluzione l’hanno fatta i Beatles ma questo 57enne di Minneapolis ha lasciato un’impronta indelebile, con quella voce in falsetto e quella musica nera nel sangue. Prince ha rotto gli schemi, amalgamando generi musicali nei suoi album come fosse la cosa più facile al mondo. L'artista black ha marchiato l'easy listening degli Anni Ottanta: ha parlato tanto di amore e di sesso esplicito, ha fatto show memorabili e flop altrettanto giganteschi. Ma è stato uno dei primi a parlare di Aids, di una società alla deriva e di un futuro in bilico. Dopo di lui la musica non è stata più quella di prima.  
 

Dal 25 giugno 1984, data di uscita di Purple Rain nulla è stato più come prima. I colleghi lo hanno amato e seguito (ha cantato, suonato e scritto quasi per tutti), i fans venerato e dopo qualche anno l’industria discografica lo ha mal sopportato. Lui non ci ha pensato molto a cambiare più di una volta nome e pelle: da Prince è diventato The Artist Formerly Known as Prince per aggirare i vincoli contrattuali e reclamare la libertà artistica. Dal soul è passato al jazz, dal funky al rock elettronico, da amplessi musicali a ballate sdolcinate senza essere mai banale e senza finire uno tra tanti. “Little red corvette”, “If I was your girlfriend”, “Alphabet Street” sono nel cloud di chi oggi ha quarant’anni. Qualcuno di loro avrà gelosamente custodito un vinile originale o un bootleg  (chi è cresciuto a mp3 e streaming probabilmente non sa nemmeno di cosa stiamo parlando) del “Black Album”, long playing (!) del 1994 senza autore e senza titoli messo in circolazione - e subito ritirato - per sfidare le major.
 

Prince ha fatto dell’avanguardia quasi un credo trent’anni fa: video mai banali, testi incisivi, poche (pochissime) parole con i mass media.  Poteva suonare per ore su un palco davanti a migliaia di persone e il giorno dopo mettersi al pianoforte anticipando gli unplugged degli Anni Novanta. Per primo ha messo su Internet tutta la sua vita artistica, vendendo brano dopo brano e quasi per primo ha deciso di rimuoverla dal world wide web, social compresi ad eccezion fatta della piattaforma Tidal. Maniaco del controllo ha anche denunciato chi, dopo il suo divieto, scambiava video e brani online. Ma Prince era anche molto, molto altro.

Per questo a distanza di ore siamo in molti a sperare che nevichi ancora ad aprile. 

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