Venezia 81, il red carpet del film di Gianni Amelio con Alessandro Borghi
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Sette minuti di applausi per la prima mondiale di "Campo di Battaglia" con protagonisti Alessandro Borghi e Gabriel Montesi
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Sette minuti di applausi a Venezia 81 per la prima mondiale di "Campo di Battaglia" di Gianni Amelio, primo
dei cinque italiani in concorso per il Leone d'oro: in scena va l'assurdità della guerra. Il film, con protagonisti Alessandro Borghi e Gabriel Montesi, uscirà al cinema dal 5 settembre. Ambientato in un ospedale da campo, nell'ultimo anno della prima guerra mondiale, tra la sconfitta di Caporetto e la pandemia da Spagnola, la pellicola "commuove" e tocca l'anima mostrando la semplicità e l'innocenza dei soldati strappati dalle montagne e dai campi di tutt'Italia per essere gettati nell'inferno della guerra.
Ragazzi analfabeti, ricoverati in un ospedale in Friuli Venezia Giulia, che non sanno neppure esprimersi troppo e che hanno una paura così grande di tornare in guerra che rinuncerebbero a un occhio pur di rivedere casa.
Qui due ufficiali medici, amici d'infanzia, che lavorano nello stesso ospedale militare ma che più diversi non potrebbero essere, devono affrontare un fenomeno molto diffuso in ogni guerra, ma poco conosciuto, ovvero l'abitudine di molti soldati di procurarsi ferite, auto-mutilarsi pur di non tornare a combattere.
Da una parte troviamo Giulio (Gabriel Montesi), di famiglia alto borghese e con un padre che sogna per lui un avvenire in politica, un medico comunque ossessionato da questi autolesionisti che considera traditori della patria che perseguita appena può e, dall'altra, invece Stefano (Alessandro Borghi) più comprensivo, umano e tollerante, che comincia di nascosto una sua personale illegittima pratica per salvare quei poveri cristi. Tra loro in ospedale c'è anche Anna (Federica Rosellini), amica di entrambi dai tempi dell'università e che, essendo donna senza una famiglia influente alle spalle, ha dovuto rinunciare alla laurea in medicina e diventare così solo volontaria alla Croce Rossa.
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A un certo punto nell'ospedale molti malati si aggravano misteriosamente. C'è forse qualcuno che provoca di proposito delle complicazioni alle loro ferite, perché i soldati vengano mandati a casa, anche storpiati, mutilati?
E non finisce qui. Verso la fine del conflitto si diffonde una specie di infezione che colpisce più delle armi nemiche e presto contagia anche la popolazione civile: la Spagnola.
Frase chiave del film è quella che dice il patriottico medico Giulio rivolto ai suoi malati: "Chi arriva qui o è un valoroso o è un vigliacco".
In questo film di Amelio, pieno zeppo di umanità e che sembra provenire forse troppo da quello stesso passato che racconta, l'elemento più forte, oltre al ritratto dei due medici "antieroi', è il racconto di questi soldati, vera e propria 'carne da cannone' che provengono non a caso dalle province più sperdute d'Italia.
Il film ha il coraggio di raccontare, come ne "La grande guerra" di Mario Monicelli, che non ci sono solo eroi in battaglia, ma anche gente che ha paura.
"Non un film di guerra ma sulla guerra" come dice Gianni Amelio: "C'è un'utopia a monte. Questa storia non è un apologo realistico contro la guerra ma utopistico. Tutto va in una sola direzione: le guerre fanno male, le vittime sono soprattutto innocenti, allora utopisticamente per fermarle meglio che non ci siano più braccia
per imbracciare fucili. È un paradosso, certo, ma su cui si fonda la morale del film". Liberamente ispirato a "La Sfida" di Carlo Patriarca (Beatbestseller), girato tra Veneto e Trentino, sceneggiato da Amelio con Alberto Taraglio.
In questo film di guerra senza la guerra, Amelio sceglie di non mostrare i morti, "sono usurate queste immagini, ne vediamo troppe, ci sembrano paradossalmente irreali. Tutti i giorni da tutti i fronti, dall'Ucraina, da Gaza
e dai gommoni affondati, ci arrivano scene di morti, feriti, bombardamenti e a questa assuefazione terribile io non ci sto. Il cinema ha una forza emotiva data dalla storia non dall'essere un comizio".
Alessandro Borghi, dimagrito 12 kg per il film, racconta di "aver scoperto di nuovo l'amore per il cinema" grazie al modo di Amelio di farlo. "Alla fine di questo lavoro - dice - sono più le domande che le risposte. Non si tratta di dire sono contro la guerra, è una ovvietà, lo siamo tutti, qui si va su una sottilissima linea di scelte etiche, di relatività sul giusto e sbagliato, e io stesso mi metto in discussione, non so ma credo
che non mi sarei comportato come il mio personaggio".