Esce nei cinema "La mafia uccide solo d'estate", esordio alla regia dell'ex Iena. Un film dissacrante che ripercorre vent'anni di vita a Palermo negli anni delle stragi
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Arriva nei cinema "La mafia uccide solo d'estate", esordio alla regia di Piefrancesco Diliberto, più noto come Pif. Un racconto che si snoda lungo vent'anni di vita a Palermo dove i tragici fatti di mafia che hanno segnato gli anni 80 e 90 vengon raccontati in modo ironico e dissacrante. "Qualcuno potrebbe non apprezzare - dice Pif a Tgcom24 - ma questo è il mio modo, non avrebbe avuto senso per me fare un film serio".
Caso vuole che la chiacchierata con Pif avvenga proprio dove tutto ebbe inizio, ovvero quel tratto di autostrada tra Punta Raisi e Palermo dove, il 23 maggio del 1992, all'altezza di Capaci, il tritolo uccise Giovanni Falcone, la compagna Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. Un evento che aprì la stagione delle stragi e, allo stesso tempo, la presa di coscienza da parte di un'intera generazione, di cosa fosse la mafia. Proprio la generazione di Pif, che allora aveva vent'anni, e che raggiungiamo telefonicamente mentre sta percorrendo quel tratto di strada, alla volta di Palermo. "Sembra un espediente studiato da uno sceneggiatore - dice -. I palermitani sono quasi obbligati a passare da questo punto, devono farci i conti quasi di continuo. Anche se scappi, il problema lo devi comunque affrontare, fisicamente".
Che effetto fa passare oggi per Capaci, ventun'anni dopo la strage?
C'è un misto tra rassegnazione per quel periodo, quel giorno. E anche un po' di ottimismo, di speranza. Obiettivamente le cose sono cambiate. Il protagonista del film ha fatto una vita e vissuto in un contesto ben preciso, mentre per un ragazzino di 10 anni di oggi le cose sono ben diverse. Non è ancora il Paese che sognamo, ma la situazione è migliorata.
Il desiderio di raccontare questo soggetto ti ha spinto in qualche modo verso la regia?
L'idea di lavorare come regista l'ho sempre avuta. La televisione mi ha portato via momentaneamente perché comunque mi piace, per la sua immediatezza. Anche attraverso quel mezzo ho più volte raccontato la mafia per come la vedevo e quando ho avuto l'occasione di fare il mio primo film è venuto spontaneo affrontare questo argomento.
Tu hai fatto una trasmissione intitolata "Il testimone": quanto questo film è una forma di testimonianza da lasciare alle nuove generazioni?
In realtà non l'ho scritto pensando a questo ma inevitabilmente c'è quell'aspetto. E' un po' come dire 'la storia l'abbiamo vissuta così, non dovrà più ripetersi'. Per quanto mi possa sentire giovane ho ormai 41 anni e quindi molta più esperienza di un ventenne: viene spontaneo avvisarlo degli errori fatti in gioventù. Il 23 maggio scorso ero a Palermo, con alcuni ragazzi eravamo in via Notarbartolo davanti a casa di Falcone. Poi siamo andati a mangiare qualcosa e una ragazza mi ha chiesto di raccontarle cosa era successo in quel 1992. La prima cosa che ho pensato è stata: 'perché, tu dov'eri?'. In realtà, anche se mi sentivo uno di loro, lei o non c'era o era una bambina molto piccola.
Per raccontare questa storia hai scelto un registro inusuale, che è quello dell'ironia. Hai mai avuto dubbi o il timore che potesse non essere accolto positivamente?
Ho già letto qualche critica, anche se meno del previsto. Qualcuno ha definito questo modo di rappresentare le cose fuori luogo o addirittura offensivo nei riguardi delle vittime di mafia e dei loro parenti. Io non ho mai avuto dubbi. Ho già utilizzato questo punto di vista sull'argomento in alcune puntate del "Testimone" e in realtà alcuni parenti delle vittime hanno visto il film e non sono rimasti delusi. Davo per scontato che si capisse che l'intenzione. Poi non si può piacere a tutti, ma su questo non ho mai avuto dubbi e non ho intenzione di cambiare.
Quando invece si realizzano opere "tradizionali" credi sia reale il pericolo di rappresentare la mafia in maniera affascinante, quasi romantica?
E' vero che la mafia da un punto di vista cinematografico, del racconto, è accattivante. C'è passione, sangue, dramma, c'è l'amicizia, la religione. Comunque se un ragazzino ha il mito di Totò Riina, non è una fiction che cambia le cose in questo senso. La fiction televisiva italiana tende sempre un po' a semplificare per venire incontro ai gusti del pubblico. Comunque i film sulla mafia sono come quelli sull'olocausto: non ce n'è mai abbastanza. Per me fare un film serio sulla mafia sarebbe stato inutile e non sarei stato nemmeno la persona adatta. E' un altro modo di affrontare il discorso. Inoltre un ragazzino magari un film classico sulla mafia non sarebbe andato a vederlo e magari questo lo attira di più.
Credi che, in questo periodo di relativa tranquillità, la generazione attuale possa correre il rischio di dimenticare il reale pericolo della mafia?
Questa è una vecchia strategia della mafia. Durante il maxiprocesso la mafia ordinò di limitare al minimo i fatti di sangue. Sanno benissimo che scomparire facilita il lavoro di chi chiede il pizzo, ricatta o spaccia droga. Infatti la strategia di Toto Riina non era condivisa da molti mafiosi, a partire da Bernardo Provenzano. Proprio per questo la mafia è più pericolosa ora. Il nostro è un Paese nel quale si va avanti per emergenze, e quindi lo Stato dovrebbe avere la mano forte proprio adesso che Cosa nostra sembra più debole.
Hai raccontato che chi è cresciuto negli anni 70 e 80 veniva in qualche modo "protetto" dalla verità con la scusa che se ti facevi i fatti tuoi la mafia non ti avrebbe fatto nulla...
Pur in buona fede, i genitori delle generazioni precedenti non hanno permesso di far crescere una consapevolezza del problema. Noi a Palermo ci siamo svegliati con le stragi del '92, ma prima c'erano stati molti altri morti. Lo Stato interveniva, mostrava la sua forza, ma poi poco a poco scompariva: il problema era che lo Stato era colluso alla testa. D'altronde è un dato accertato dai processi che fino al 1980 Andreotti era colluso.
Andreotti che nel tuo film affascina il protagonista bambino, al punto che si traveste come lui per una festa di carnevale...
Quello è stato un meccanismo per fare ripetere in maniera ingenua tutte le cose che diceva Andreotti. E, sentito con le orecchie di oggi, si capisce che era tutto abbastanza chiaro fin da allora...