"IL CAPITALE UMANO"

Paolo Virzì: "Il noir? La cornice perfetta per raccontare il nostro tempo"

Esce nei cinema il 9 gennaio "Il capitale umano", nuovo film del regista livornese. "Avevo voglia di provare nuove atmosfere. E mentre il giallo si svolge indaghiamo sulle infelicità delle persone"

09 Gen 2014 - 09:29
 © agenzia

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Arriva nelle sale giovedì 9 gennaio "Il capitale umano", nuovo film di Paolo Virzì, dove il regista livornese affronta, con un inedito registro noir, le vicende di alcune famiglie della provincia del nord Italia. "Il noir è una cornice perfetta per raccontare le infelicità e le sconfitte dei nostri tempi - racconta il regista a Tgcom24 -. La polizia indaga sul mistero e noi sulle vite dei protagonisti".

Paolo Virzì: "Il noir? La cornice perfetta per raccontare il nostro tempo"

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Un immobiliarista che cerca l'ascesa sociale in maniera facilona, una donna ricca e infelice che insegue il sogno di una vita diversa e una ragazza oppressa dalle ambizioni del padre alle prese con il desiderio di un amore vero. E a complicare tutto un misterioso incidente, in una notte gelida alla vigilia delle feste di natale. Quello di Virzì è un mosaico complesso che punta a entrare nelle vite di esponenti di almeno tre classi sociali diverse, nell'Italia dei nostri tempi. Un ritratto acuto e cinico, che prende le mosse da un romanzo americano, appunto "Il capitale umano", di Stephen Amidon.

Come mai partire da una storia così lontana da noi per raccontare uno spaccato del nostro Paese?
Quello che mi ha colpito è che sembrava parlasse anche di noi. In quel sobborgo immaginario non lontano da New York sembrava che prevalesse il lato un po' emblematico e metaforico della vicenda. Noi lo abbiamo trasferito in una provincia lombarda più veritiera, ma anche quella un po' inventata, dove il mosaico si compone attraverso le vicende dei vari protagonisti: come la polizia indaga su cosa è accaduto nella notte di un misterioso incidente noi indaghiamo sulle vite dei protagonisti, le loro illusioni e le loro infelicità.

Per la prima volta hai affrontato un genere come il noir, esulando dalla più canonica commedia all'italiana. Come mai?
Nella cultura del romanzo americano è abituale trovare un'apparenza di genere ma che poi nella sostanza si rivela un modo per analizzare la contemporaneità. Questo è un romanzo molto bello che sembrava analizzare molto bene le conseguenze di una ricerca di profitto attraverso le formule assicurative che stanno portando il mondo cosiddetto ricco sull'orlo del baratro. E lo faceva non come un pamphlet di proclami ma costruendo una vicenda appassionante che si sviluppa come un thriller.

Alcuni scrittori contemporanei italiani sostengono che il noir non vada trattato come narrativa di genere di serie B, ma sia una cornice perfetta per raccontare il nostro tempo. Sei d'accordo?
Tutte le narrative importanti lo fanno, a partire da Simenon per arrivare agli anglosassoni. Nel raccontare la vicenda, anche con grande suspence, catturano l'attenzione del lettore e la portano dentro il mondo contemporaneo, arrivando, senza farla troppo lunga, a dire le cose molto esatte e illuminanti.

Il nostro cinema di genere ha vissuto un'epoca importante negli 70 e poi si è perso. La tua è un'operazione rischiosa.
Rispetto al passato il nostro cinema ha pochi generi, di fatto ci limitiamo al comico e al cinema di autore. Avevo il desiderio di provare, osare, provare nuove atmosfere. Per me girare in Lombardia di inverno è stato un po' come andare all'estero.

Un'altra particolarità rispetto ai tuoi lavori precedenti è lo sguardo puntato sulla realtà di una famiglia ricca. Come mai?
In realtà nel film lo sguardo sulla società è affrontato su almeno tre ambienti sociali diversi. Quello della middle class con ambizioni borghesi ma molto velleitarie. Poi c'è il mondo dell'alta borghesia finanziaria. E non manca il mondo del disagio e del degrado. Molti hanno puntato l'attenzione sul mondo dei ricchi, forse perché più insolito in un mio film, ma in realtà si guarda con uno sguardo più ampio.

Quando con una storia si entra così tanto nella realtà del Paese, un regista come te cerca più la fotografia oggettiva o tende a mettere il proprio punto di vista sulle cose?
C'è una tendenza a chiedere ai registi risposte, soluzioni, andando in realtà oltre a quello che è il loro effettivo compito. Onestamente sono contento se il film suscita degli spunti di discussione ma il mio obiettivo è quello di realizzare un film avvincente, un racconto cinematografico che abbia passione ed emozione.

Più che la ricerca di risposte prevale quindi un'analisi con uno sguardo particolare?
L'attività del narrare è affascinante perché ti toglie qualsiasi pregiudizio. Quando racconti devi essere convincente, con personaggi credibili. Sui personaggi a volte si danno dei giudizi, si appiccicano delle etichette, ma in realtà uno che racconta li deve sapere ascoltare per come si percepiscono loro stessi. Uno dei protagonisti per esempio è uno che ha giocato con la finanza tossica, scommettendo sui crolli dei Paesi, facendo cose che hanno messo in ginocchio delle nazioni. Ma quello che ha fatto lo ha fatto per il bene della famiglia, per cercare di dar loro una vita migliore. Quindi dal suo punto di vista non ha fatto nulla di male. Ogni personaggio ha una sua complessità.

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