Il gruppo hard rock ha appena pubblicato il nuovo album "The Last Of Our Kind". A Tgcom24 parlano di rock, discografia e nuove tecnologie senza peli sulla lingua
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Un ritorno all'insegna del rock senza compromessi. E' quello dei The Darkness. La band inglese, diventata celebre nei primi anni 2000 con uno stile hard glam che ricordava i Queen, pubblica il nuovo album "The Last Of Our Kind". "Con il disco precedente abbiamo avuto contrasti con la casa disocgrafica che voleva un singolo radiofonico - dice il cantante Justin Hawkins a Tgcom24 -. Ora abbiamo voluto fare un album rock perfetto da suonare dal vivo".
Nel 2003 sono diventati un vero caso mondiale, soprattutto grazie al singolo "I Believe", capace di fare breccia nelle radio con le sue sonorità pomposLanni 70 e nelle tv con un video a dir poco istrionico. Come istrionici e spettacolari sono gli show dal vivo della band, che hanno contribuito a saldare la loro popolarità. Poi sono arrivati i classici litigi, le separazioni e la reunion. Con un album non certo esaltante che però viene spazzato via nel ricordo da questo "The Last Of Our Kind", probabilmente il miglior lavoro mai realizzato dal gruppo. "Le idee hanno iniziato a venir fuori alla fine dell'ultimo tour in Inghilterra e Irlanda che abbiamo fatto dopo l'album precedente - spiega il cantante Justin Hawkins -. Non eravamo per nulla soddisfatti dei singoli che la casa discografica aveva scelto e non eravamo d'accordo su quelli che erano i pezzi migliori da presentare. E questa volta volevamo fare un disco che sarebbe stato perfetto da suonare dal vivo, in festival e concerti nostri".
Cambio di direzione dunque?
Cambio di tutto! Abbiamo licenziato il management e lasciato la casa discografia. Abbiamo scelto di dedicare tutto il tempo necessario per realizzare un lavoro all'altezza: quello che avevamo in testa era un disco molto rock, con riff di chitarra potenti e una solida base ritmica.
Essere indipendenti è l'unico modo per essere liberi nel mondo della discografia?
Capisco che il lavoro del discografico non sia facile. C'è gente che è pagata apposta per fare in modo che le canzoni circolino nelle radio, abbiano successo. Ma quando questo porta personaggi che dovrebbero fare tutt'altro a intromettersi nel processo creativo, a dirti cosa dovresti o non dovresti fare per far funzionare una canzone per noi diventa davvero difficile. E' quello che è successo l'ultima volta ed è stato davvero insopportabile.
Come vi siete mossi questa volta?
Abbiamo scelto un'etichetta che seguisse un altro modello di business. Noi abbiamo fatto tutto in libertà e abbiamo consegnato loro il disco finito. A quel punto il loro compito è stato quello di promuoverlo e distribuirlo, comunque di concerto con noi.
Trovate che la situazione sia cambiata rispetto a dieci anni fa da questo punto di vista?
Rispetto ad allora c'è molta più paura. Oggi circolano meno soldi nell'ambiente musicale e i rischi sono più grandi. Quindi la gente affronta le occasioni spesso guidata da questa paura, cerca di andare sul sicuro. Ma spesso è il modo sbagliato.
Oggi il momento live è diventato più importante rispetto ai dischi che si vendono sempre meno. Per voi cosa significa realizzare un nuovo album?
Una volta i tour si facevano per promuovere un album. Oggi la situazione si è rovesciata e si fanno album per promuovere un tour. Resta il fatto che noi siamo di una generazione ancora molto legata al concetto di album, per noi è sempre eccitante, è una forma di eredità che lasciamo ai fan e al mondo.
Cosa pensate delle nuove forme di fruizione della musica, come i servizi di streaming?
Oggi i ragazzi ascoltano la musica spesso in modo frammentario, si costruiscono playlist pescando qua e là - dice il chitarrista Dustin Hawkins -. Io lo trovo frustrante, è come quando guardi la tv e fai zapping passando da un programma all'altro senza mai fermarti da nessuna parte. Dopodiché non abbiamo nulla contro Spotify e simili. Non diciamo certo noi alla gente come deve ascoltare la musica. Ma se ci chiedete un parere vi diciamo: ascoltate un album! E compratelo!
Forse la filosofia dello streaming è più affine a generi musicali, come pop e dance, lontani dal vostro...
No, il problema è che i servizi di streaming sono interessati solo al traffico. Della musica a loro non frega un cazzo. Anche perché la maggior parte degli iscritti non usa le versioni a pagamento ma vuole ascoltare musica gratis, quindi ai gestori dei siti interessa che si ascoltino più canzoni possibili per una questione di pubblicità.