CONCERTO AL FESTIVAL VILLA ARCONATI

Tinariwen, il canto ipnotico dei guerrieri berberi

Per una notte Villa Arconati è diventata una cattedrale nel deserto del Tuareg

di Luisa Indelicato
16 Lug 2017 - 23:03
 © facebook

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Uno scroscio di applausi concitati si è levato dalla platea di Villa Arconati per ringraziare i Tinariwen, nella seconda data del Festival musicale iniziato il 10 luglio con Marco Paolini e che finisce il 21 con Remo Anzovino e Roy Paci. Quello che colpisce di questa band di esuli del Tuareg, fuggiti dalla guerra in Mali, è la capacità di coniugare la tradizione berbera con il blues, il rock, il funky e lo ska, in quello che sembra un piccolo miracolo musicale.

Indossano gli abiti tradizionali delle popolazioni berbere, il loro nome in lingua tifinagh vuol dire "deserti", imbracciano chitarre e basso come armi, le voci di tutti sono cannoni che risuonano ancestrali, le percussioni il ritmo cadenzato della pioggia e del vento. I sette componenti, tra cui una donna che solerte richiama il pubblico con gli youyou (richiami gioiosi delle donne berbere) e le sue danze, hanno letteralmente lasciato a bocca aperta la platea.

Questo piccolo miracolo musicale si compie nel dramma, in realtà. Nella fuga dalla guerra per non negarsi, per mantenere la propria identità e al contempo nella profonda voglia di apertura, di immergersi in altre bellezze per vedere con occhi nuovi il mondo senza dimenticare se stessi. Il fondatore della band, Ibrahim ag Alhabib, esule in Algeria, ha trovato nella musica la sua compagna di vita, il modo per parlare degli orrori del suo Mali, la sua salvezza. Con una chitarra rudimentale ha iniziato a suonare nei campi profughi, dove lui ha vissuto, assimilando le musiche tradizionali tuareg, il blues che ascoltava nei locali algerini e il rai, una sorta di poesia cantata tradizionale africana. Da lì è stato tutto frutto del destino. Nei suoi viaggi tra Algeria, Libia, Marocco, ha conosciuto gli altri componenti dei Tinariwen. Poco dopo Justin Adam chitarrista di Robert Plant, ex cantante dei Led Zeppelin, li conosce a un festival di world music e ne rimane ammaliato. La band colpisce anche il cuore, di certo non incline alla tenerezza, di Plant. I due diventano i produttori del loro primo album uscito dai confini del Nord Africa nel 2001, anno della conquista dell’Occidente.

Non ci è voluto molto perché questo prodigio del deserto incantasse, tra gli altri grandi, Carlos Santana che li ha invitati sul palco di Montreaux durante un suo concerto e i Rolling Stone. Ascoltando i Tinariwen si rimane rapiti dai loro canti di un mondo apparentemente lontano, nello spazio e nel tempo. Le chitarre psichedeliche sembrano aver rubato a Jimi Hendrix, Eric Clapton, Bob Marley i loro riff. Dal vivo la magia è compiuta, la musica e i balli trasportano, come in uno stato catartico di ipnosi, nel deserto dove le loro storie dimenticate si aprono al pubblico. Hanno appreso la vita dalla durezza della guerra, ma nonostante questo sono diventati dei guerrieri di pace e portatori di bellezza. E per tutto questo va a loro una meritata riconoscenza come quella che hanno offerto al termine di ogni loro canzone: "Merci mille, Tinariwen"

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