Tredici Pietro presenta il nuovo album "Non guardare giù"
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Il disco si intitola "Non guardare giù" ed è coprodotto da Sedd e Fudasca
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E' impegnativo essere il figlio di Gianni Morandi e Tredici Pietro, all'anagrafe bolognese Pietro Morandi, terzogenito del noto cantante, lo sa bene. E mentre presenta il suo nuovo album, "Non guardare giù", in uscita il 4 aprile, prende le dovute distanze dal padre è dice: "Siamo in due mondi diversi, è difficile avere comunicazioni con persone che hanno vissuto un'altra era". E poi aggiunge: "Io figlio di Morandi? Lo accetto, ci sono momenti in cui non mi fa stare bene perché ho sempre cercato di impormi e far percepire il mio modo di essere. Io non centro con il suo modo, gli voglio bene ma non sfrutto la situazione (...) Non sono un raccomandato".
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E lo dimostra bene con un album che non ha nulla a che fare con la musica del padre e con il quale Tredici Pietro ha voluto raccontare se stesso e il suo mondo: E? il disco libero nel quale ho voluto rappresentare me stesso".
Coprodotto da Sedd e Fudasca e da una squadra di producer composta da Tommaso Ottomano, Galeffi Bros, Chakra, Mantovani, Milanezie, kofi bae, Drast, Rivaundici, Verano, Kermit e Cali Low, "Non guardare giù" mescola hip hop in senso stretto e trap, ma anche melodia e storie da raccontare a cavallo tra generi differenti ma che si
parlano sempre.
"E' un album che arriva da lontano e da un centinaio di provini fatti dal 2023 ad oggi. E' stata una lunga ricerca sul come volessi esprimermi a livello dii suoni e parole.
E' anche fin album arriva da vari luoghi fisici, da Bologna a Milano, passando da tutti i luoghi che ho frequentato in Europa. Arriva da casa mia e cioè da dentro me".
La scaletta del disco è stata anticipata dai singoli 'Verità', 'Morire' con la voce di Nerissima Serpe e 'Serve amore' con Irbis. Nei giorni scorsi, inoltre, Tredici Pietro ha anticipato attraverso un TikTok uno dei pezzi che saranno inclusi nell'album, 'Tempesta', realizzato con Lil Busso e PSICOLOGI, colleghi e amici con cui aveva già collaborato in passato.
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"Ho lavorato puntando a sentirmi a mio agio con quello che facevo", ha detto il giovane artista: "anche perché ormai il mondo urban mescola tanto i diversi generi, con influenze sovrapposte. E' più importante quello che vuoi raccontare che il suono che lo accompagna. Per me viene sempre prima la parola e la musica serve per renderla coerente con le mie necessità".
In quanto al titolo Tredici Pietro dice: "Vorrei lasciare libera interpretazione a chi ascolta. L'ho chiamato così perché è giusto lasciare spazio al pensiero che tradotto semplicemente significa che noi ci troviamo per riflesso a guardare sempre giù, ci verrà la gobba". Il titolo è una considerazione ma anche un invito: "Per me vuol dire non fermarti a dare peso a quelle cose che non hanno senso e quindi non agisci seppure non ti devi fermare, non devi bloccarti. 'Non guardare giù', vuol dire non far caso alla merda che c'è. Purtroppo per necessità si pensa solo a portare a casa quello che è indispensabile e ci ritroviamo una società che se ne fotte degli altri. Mi dispiace perché a Milano mi sono fatto portatore di valori che non sono i miei e mi sono sentito più piccolo e in difetto rispetto al mito di Milano di quando sono arrivato da Bologna. Ciò mi ha fatto sentire lento. Rispetto al passato tutto è cambiato, c'è una depressione di fondo che deriva da tutte queste incertezze e c'è la cultura del dio denaro. Abbiamo paura del futuro".
Tornando al rapporto con il padre Gianni, il giovane cantante sottolinea come sia stato difficile "liberarsi" dalla sua presenza e della sua "importanza": "Non è un discorso da ingrato ma volevo uscire con la mia voce. Questa è la storia di chi ha un padre forte ed è bello raccontarlo. Non ho mai studiato la musica, per me la scrittura e il rap hanno contato di più, un modo per entrare dalla porta retro senza avere paragoni. E per non vivere la sindrome da impostore ho fatto un percorso di terapia che mi ha aiutato molto a essere me stesso. Adesso che ho fallito in qualche uscita, e nonostante ciò qualcuno ancora ascolta la mia musica, ho capito che c'era chi aveva piacere ad ascoltarla. A me piace lavorare sul micro per poi andare sul macro. E spero che questa mia intenzione sia riuscita. Vorrei essere spoglio da referenze. Il disco ha solo tre pezzi rap e dieci non rap. Chi fa musica non vuole sapere che genere di musica sta facendo. Anche se il rap è il motivo artistico più forte di quest'epoca, le necessità espressive le trovi nel rap. Negli ultimi 20 anni chi ha da dire delle cose si esprime con il rap. La mia non è una fuga dal rap ma un ampliamento, un'espansione della mia necessità espressiva. Il rap non è solo un genere musicale ma una tecnica. È lo specchio del nostro pianeta, racconta il mondo in cui viviamo e non c'è niente altro. Il rap racconta quest'epoca". Ultima considerazione sulla possibilità di calcare un giorno il palco dell'Ariston: "Sanremo? Ci provo ad andare se ho un pezzo che mi rispecchi, che sento. Lazza e Geolier l'anno scorso hanno fatto la sanremata del rap. E poi cosa vado a fare se mio padre ci va un anno sì e un anno no? Sembro un raccomandato. Cosa non vera, anzi".