Valentino Mazzola e compagni si recarono in Portogallo l'1 maggio del 1949 per disputare, due giorni dopo, l'amichevole col Benfica. Il 4 maggio il tragico ritorno e lo schianto a Superga. Un film ricostruisce le giornate lusitane degli "Invincibili" rivelando particolari finora sconosciuti. Tgcom24 ha incontrato i due autori del documentario
di Domenico Catagnano© Tgcom24
Si è scritto tanto del Grande Torino e di Superga, degli "Invincibili", del "solo il fato li vinse", degli eroi che, come la tragedia greca insegna, muoiono giovani. Sono passati 63 anni da quello schianto, ma ancora forte è il legame tra i tifosi e quella magnifica squadra, diventata mito ed essenza dell'amore verso il Toro. E un atto d'amore è quello che ha spinto Andrea Ragusa, torinese (e torinista), da qualche anno in Portogallo, e Nuno Figueredo, portoghese e tifoso del Benfica, a scavare nei ricordi e nelle memorie per raccontare gli ultimi giorni dei giocatori del Grande Torino, quelli trascorsi a Lisbona per la loro ultima partita prima di imbarcarsi per il volo fatale. I tre giorni in Portogallo rappresentano per certi versi il tassello mancante di tutta la storia. Ragusa e Figueredo, per un anno, hanno rintracciato persone, spulciato giornali, raccolto testimonianze per ricostruire ciò che accadde tra il primo e il 4 maggio di quel 1948. Il risultato è "Benfica-Torino 4-3", un documentario che emoziona e commuove, l'ultima pagina del testamento degli "Invincibili".
Un omaggio, non un addio al calcio
"Quella in Portogallo -racconta Ragusa- fu una partita che, come molti riportano, pensavamo fosse stata organizzata per l'addio al calcio di Francisco Ferreira, stella del Benfica e della nazionale e amico di Valentino Mazzola, che aveva conosciuto tempo prima a Genova per l'amichevole Portogallo-Italia. E invece no, il match, come scrivono i giornali portoghesi dell'epoca, era un semplice omaggio a Ferreira, che continuò a giocare ancora per parecchio tempo e magari poteva farlo anche al Toro, visto che a quanto pare era stata avviata una trattativa per portarlo in Italia. Allora i giocatori non erano professionisti, non c'erano sponsor e queste amichevoli di lusso venivano organizzate per guadagnare qualcosa in più grazie agli incassi".