Anche nello sport, il "Divo Giulio" protagonista centrale: e a godere della sua arte politica è stata soprattutto la squadra del cuore
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L'equazione è molto semplice. Considerate quanto è stato importante lo sport per la società italiana del dopoguerra, rapportatelo a quanto è stato importante Giulio Andreotti per la politica del dopoguerra e capirete, facilmente, quale ruolo abbia svolto lo scomparso "Divo Giulio" anche nelle vicende roteanti intorno a uno stadio. Basti ricordare, a livello istituzionale, come Andreotti sia stato il presidente del Comitato Organizzatore delle Olimpiadi di Roma del 1960 - a tutt'oggi le ultime estive ospitate dal nostro Paese, spernacchiato sul tema in tempi recenti -e come giá dal 1947 fosse sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo sport: l'allora 28enne esponente DC contribuì non poco alla riorganizzazione post-conflitto e allo sviluppo moderno del Coni. Andreotti e non altri che Andreotti - proprio in questi giorni, 64 anni fa -, fu l'uomo designato dal Palazzo romano a stare vicino e ad aiutare il Torino, squassato dallo schianto di Superga.
Ma a godere dell'intelligenza, dell'arte politica e del non logorante potere di Andreotti è stata soprattutto la Roma, passione, amore né tiepido, né privato del pluripresidente del Consiglio fin dagli anni ruggenti del Campo Testaccio. Per decenni, e specialmente tra gli anni '60 e '80', Andreotti è stato il deus-ex-machina dell'esistenza non sempre tranquilla della Lupa. Fianco a fianco con lui, Franco Evangelisti, storico braccio destro politico con particolare delega alla squadra del cuore. Fu il suo collaboratore principe a essere insediato alla presidenza della Roma, anzi, della "Rometta" dei Sessanta, giunta a un passo dal fallimento. Sotto la regìa andreottiana, Evangelisti - ottimo manager che poi sarà presidente anche della Federazione Pugilistica Italiana - risana le aride casse giallorosse e accompagna la trasformazione del club in società per azioni.
Ma i romanisti saranno ancora più grati ad Andreotti oltre 15 anni dopo, nel 1982, quando l'Inter, approfittando di un vuoto contrattuale, mette le mani su Paulo Roberto Falcao, idolo della Roma giallorossa, un altro Divo, proprio come il Giulio nazionale. Tutto fatto, anche il contratto è giá siglato e nelle mani di Sandro Mazzola, bandiera e d.s. nerazzurro. Poi, di colpo, tutto si mesmerizza. Come non detto, Falcao rimane con gioia nella capitale, Inter? E chi l'ha mai detto? Andreotti, in interviste e biografie ufficiali, l'ha raccontata in maniera un po' edulcorata, ritagliando il suo ruolo nella vicenda in un semplice colloquio con la madre del giocatore, cattolicissima e informata di un tifo romanista di Giovanni Paolo II, in ansia come tutti i "Lupi" per le sorti del suo beniamino. I bene informati di Milano, invece, raccontano ancor oggi che una volta avuta la notizia dell'accordo, Andreotti avrebbe mosso ancora una volta l'alfiere Evangelisti: sarebbe partita una telefonata al presidente dell'Inter Ivanhoe Fraizzoli, grande imprenditore nel settore delle divise aziendali, con vaghi accenni sulla possibilità imminente di verifiche fiscali, di controlli sui patrimoni all'estero e via improvvisando sul tema "vediamo dove prendi i soldi per pagare Falcao". Fraizzoli, come tutti i pari suoi, aveva fior di danari e proprietà oltre i confini. Ci avrebbe pensato sopra una notte, il presidentissimo, salvo poi telefonare a Mazzola e dire - quasi in lacrime - di lasciare perdere. Comunque sia andata, la morale è che lo scudetto 1982/83 lo vincerà proprio la Roma, guidata a meraviglia dal divino Paulo Roberto, e che all'Inter rimarranno solo dispetto e terzo posto: sta a vedere che tra i tantissimi pure Luciano Moggi, allora dirigente rampante, abbia imparato l'arte nientemeno che dal Divo Giulio.