Per giocare in questa squadra bisogna essere forgiati nel ferro e nelle lacrime, bisogna passare nella prova della sofferenza impossibile
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Ora Cerci è davvero un giocatore da Toro. L'ho pensato subito dopo il rigore sbagliato, mentre la solita fitta dolorosa della sconfitta mi squartava il cuore e guardavo mio figlio ancora una volta, l'ennesima, con il capo chino. E adesso lo confesso con un po' di vergogna: ho quasi provato piacere, un dolce e doloroso piacere, come quella malinconia sottile che ti distrugge ma di cui non puoi fare a meno, come la nostalgia che ti devasta ma insieme ti ammalia. Ecco: l'amore per il Toro è una cosa così. Un'eterna sofferenza di cui non si può fare a meno, un dolore di cui non ti puoi non innamorare.
Ora Cerci è davvero un giocatore da Toro. Perché per essere giocatori da Toro non basta segnare tanti gol, fare gli assist, brillare sulla fascia, seminare gli avversari, per essere giocatori da Toro non basta la classe, la capacità tecnica, la dedizione, non basta nemmeno la solita retorica del giocatore che esce dal campo con la maglietta sudatissima. Macché: per essere giocatori da Toro bisogna essere forgiati nel ferro e nelle lacrime, bisogna passare nella prova della sofferenza impossibile, nell'abbraccio mortale del destino che ti vuole male.
Per essere giocatori da Toro bisogna che succeda una cosa così. Un campionato splendido, una partita decisiva. Tu sei il migliore in campo, ancora una volta, conquisti lo stadio, dai la palla per il gol, vai in svantaggio, rimonti due volte, ridai la palla decisiva, è rigore, lo stadio è con te, la magia sembra a un passo, la festa è dietro l'angolo. Rigore. Basta segnare per sognare. Rigore. Quanti ne hai tirati, Alessio? Quanti gol hai fatto da lì? Quante volte sei stato sbruffone da quel dischetto? Quanti portieri hai spiazzato scherzando? E invece adesso è tutto così difficile. Pesante. Pesante come la maglia che indossi e che porta su di sé il colore della tragedia. In effetti: la tragedia si ripete sempre. Rigore. Tiro. Parato. Dietro l'angolo non c'è festa, ma solo un pianto. Un singhiozzo fra gli applausi che nessun osanna riesce a fermare.
E io non so dove sarà Cerci il prossimo anno, mi auguro ancora al Toro, ovviamente, ma potrebbe essere in ogni possibile altrove, epperò dopo quello che è successo ieri a Firenze ormai quella maglia granata non se la leverà più di dosso, quel marchio di sofferenza lo porterà per sempre con sé. E noi porteremo per sempre con noi quelle lacrime che sono già un altro piccolo mito, un altro piccolo mattoncino nella casa della nostra eterna sofferenza. Perché solo chi è del Toro può capire perché mentre soffre così tanto prova una sensazione di orgogliosa dolcezza: senza questo folle dolore, in effetti, noi non saremmo nulla. Cioè, saremmo come tutti gli altri.