Buon anniversario 4-3, anzi 3-4 Italia-Germania vista dall'altra parte
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17 giugno 1970: esattamente 45 anni fa, la Nazionale gioca e vince quella che è ancora considerata la partita più grande di tutti i tempi
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I giorni e le partite corrono alla velocità della luce. Quante ne sono state giocate negli ultimi 45 anni, anche solo di quelle importanti, quelle che contano? Quelle che prevedono la sigletta, Eurovisione, Mondovisione, Champions League, quelle che hanno deciso il destino sportivo di qualcosa o qualcuno, finali, dentro o fuori, vittorie, sconfitte.
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Eppure, Italia-Germania è sempre lì, non si muove, non è patrimonio esclusivo di quelli sbiancati nelle tempie. E il 4-3, e non c'è bisogno di aggiungere altro. Si sa che è quel 4-3, l'esito è diventato come un titolo, un risultato come un'icona. E' così anche negli almanacchi, ci mancherebbe. Ma a volte, pensandoci, rivedendo quella incredibile, delirante maratona di calcio, viene da pensare anche a loro, ai tedeschi, a quelli che quel titolo lo leggono al contrario, 3-4. Perché tutto, prima durante dopo, andò al contrario in quei 120 minuti e spiccioli. In uno di quegli spiccioli, per esempio, la mise dentro Karl Heinz Schellinger, che non aveva praticamente mai segnato in vita sua. Era il 92', la Germania unghiò l'1-1 all'ultimo tuffo e pareva il segno del destino.
Era l'inizio della fine. Tutti pensarono, ecco ora gli italiani scoppieranno, sono più deboli, mingherlini, sanno solo giocare in difesa, ora che devono difendere? Scoppiarono loro, i panzer, demoliti dalla fatica. In quei supplementari, giocati in quell'enorme tinozza dell'Azteca, in una sorta di luce ultraterrena del pomeriggio messicano, i tedeschi fecero due reti che in realtà furono due autoreti italiane. Albertosi sul 3-3 voleva ammazzare Rivera, forse avrebbe dovuto ammazzare prima Poletti in occasione del 2-1 teutonico, il punto che poteva spaccarci. Invece no, tutto alla rovescia.
L'Italia ne fece tre di gol, in quella sorta di incantesimo. Pareggiando con Burgnich, la Roccia, uno di Ruda, Friul, avercene in Germania. E poi sfondando con il magnifico Gigi Riva. E infine, Gianni Rivera. Capace anche lui, soprattutto lui, di andare in direzione ostinata e contraria rispetto alla logica che, neanche un minuto dopo averla combinata enorme su una zuccatina molle molle di Mueller, lo avrebbe voluto colpito, umiliato, affondato.
Guardate la foto in testa a questa fotogallery, guardatela bene. E' l'attimo seguente a quel gol, a quello finale, definitivo del Gianni, che ha dato il titolo nei secoli dei secoli. Molti di noi avranno visto tante volte l'immagine famosissima scattata dalla porta di Maier, Rivera che sviene nelle braccia di Riva, qualche altro intorno, forse.
Questa è l'inquadratura perfetta, è Italia-Germania al contrario, è il 3-4, vista dall'altra parte, dall'angolazione mai considerata. L'abbraccio michelangiolesco di Rivera e Riva si intravvede, mischiati nel bianco e nero, tra il portiere Maier sacramentante a terra, tra De Sisti e Domenghini a braccia alzate, gli altri germanici ottusi, attoniti. Protagonisti confusi e quasi cancellati dal dettaglio di quelle prime quindici righe di gradinata alle spalle della porta tedesca. Guardate questa foto, ingranditela, bisogna osservare la gente, perché alla fine siamo noi, saremmo potuti essere tutti noi, malati di calcio. Un campionario di facce, gesti, gioia, incredulità, disperazione, sorrisi, e sicuramente anche lacrime che escono solo perché ti consentono di sfogare un'emozione apparentemente futile, ma che in certi giorni o notti ti può spaccare in due. Non ci sono spazi e tempi che tengano. Il calcio è una cosa fantastica. Italia-Germania 4-3 lo è stata molto di più.