Le immagini di Bruno Pizzul
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Competenza, stile e sincera passione senza mai scadere nel tifo hanno caratterizzato il lavoro dell'amato telecronista
di Andrea Saronni© Ansa
C'era un tempo - purtroppo smarrito - in cui durante la telecronaca di una partita di calcio era consentito - anzi, consigliato - starsene zitto per qualche secondo. Si lasciava che fossero la partita stessa, i calciatori, il pubblico a dare il ritmo e il senso, il battito. Il narratore solitario galleggiava in quei brevi silenzi, tra un nome di un giocatore e quello dopo, pause studiate. Durante le quali, specie in certe notti gelide di Coppa, poteva pure capitare di intercettare anche il rumore della pietrina dell'accendino. Una bella sigaretta a corroborare il racconto, a coccolare corde vocali anche impegnate, certamente non abusate e costrette a inutili straordinari.
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Quando c'era Bruno Pizzul, succedeva. L'accendino lo usava sempre al momento giusto, come le parole. Già bastava il timbro, pieno, ricco, inconfondibile, capace di insospettabili note alte quando arrivava il culmine del "Gol!", variante in "Gal!" in circostanze particolarmente entusiasmanti. Poi c'era il linguaggio, sempre forbito e misurato anche di fronte a certi show di pedate che avrebbero meritato altri aggettivi. Lì usciva il professore mancato, quello che aveva insegnato per tre anni alle scuole medie prima di buttarsi - su suggerimento della moglie - nel concorso bandito dalla RAI, anno di grazia 1968. Intorno però usciva tanto altro. Era anche un calciatore mancato, Bruno, partito dalle stesse zolle di Bearzot e Capello e arrivato fino a Catania, dove videro sbarcare uno non dotatissimo tecnicamente, ma veramente gigantesco per l'epoca. Una famosa foto lo vede duellare con Sivori durante un'amichevole: è letteralmente il doppio, in altezza e in larghezza. Il suo affanno invece è all'ennesima potenza. Dunque, competenza: sapeva perfettamente cosa fosse un campo di calcio e che cosa contenesse, uomini e pallone. Poi, lo stile, discretamente autodidatta, sicuramente non artefatto, costruito nella misura e in totale funzione dell'evento raccontato, non il contrario. Siate certi che "il problema di girarsi" o il quasi stizzito "giocano bene questi" quando qualcuno metteva sotto le nostre squadre non sono nati a tavolino o piazzati scientemente nella cronaca.
Accenti che testimoniavano la passione, la sincera partecipazione senza mai scadere - peccato mortale - nel tifo o, ancora peggio, in considerazioni da tifosi, buone magari per noi che stavamo dall'altra parte. Quando segnavamo partiva quell'acuto con dentro quell'attimo di nota rauca da urlo trattenuto che valeva più di diecimila decibel. "Dino, Roberto, Dino" e poi "Schillaci!" e "glielo para ancora" in quella incredibile semifinale di Amsterdam 2000. Gioie mai evolute a ciò che sarebbe stato il culmine della sua vita azzurra, l'annuncio del trionfo finale, chissà come sarebbe stato il "Campioni del Mondo!".
Si è consolato con l'epopea di fine anni 80-inizio anni 90 dei club italiani nelle Coppe, lì ha stravinto, indimenticabili le telecronache delle finali europee del Milan, per cui sotto sotto simpatizzava a causa della grande amicizia con il conterraneo Nereo Rocco, come lui amante del convivio, del bicchiere buono, delle carte e di Milano, in cui viveva rigorosamente senza macchina. Abitava in Via Losanna, al Sempione, a neanche un chilometro dalla sede RAI dove lavorava. Incontrarlo mentre ci andava in bici, per chi stava nel quartiere, era la cosa più facile del mondo. Grande e gentile, elegante sempre, con quella parlata fluida, contenuta e - a microfono spento - non certo priva di ironia e di qualche sapidità da tavolata, tipica di tutti quelli che al mondo, nel mondo, sanno starci bene. Magari poi ci scappava anche uno di quei sostantivi o aggettivi da dizionario, e abbinato a quella voce così unica trattenersi era arduo. È stato davvero "tutto molto bello", maestro Bruno, favoloso soundtrack delle nostre emozioni più sincere, quelle legate al pallone. Noi di una certa età continueremo a farti il verso con affetto, a imitarti. Sapendo benissimo che sei stato e rimarrai assolutamente inimitabile.