A "Verissimo" il tastierista dei Pooh parla della canzone scritta per la sua città, pesantemente colpita dalla pandemia: "Le ferite non se ne andranno più"
"La mia città, Bergamo, non è più la stessa, non la riconosco più. E questo non è giusto". Nel salotto di "Verissimo", condotto da Silvia Toffanin, Roby Facchinetti racconta con commozione i terribili mesi vissuti dalla sua città, Bergamo, martoriata dalla pandemia di coronavirus. Migliaia di morti, le tristi immagini dei camion militari carichi di bare che lasciavano il cimitero cittadino. "Sono ferite che non se ne andranno più. Ci sono famiglie decimate. Io stesso ho perso sette persone, tra cui tre parenti e due amici di famiglia", spiega l'ex tastierista dei Pooh. "Adesso le cose vanno meglio, però, devo dire, non riconosco più la mia città. Quando la gente si incontra, non si riesce a parlare d'altro". Le terribili immagini del 18 marzo – quei camion carichi di morti che lasciavano il cimitero di Bergamo – hanno fatto il giro del mondo. "Avevo il terrore del Covid", rivela Facchinetti. "Ogni giorno andavo a prendere il giornale, il nostro giornale, tutto imbacuccato. Bergamo è un paesone, ci si conosce tutti. Le pagine dei necrologi erano passate da una e mezzo a dieci. Questo virus è una bestia talmente incredibile che può colpire chiunque". Ma quelle immagini fecero scattare qualcosa dentro il cuore di Roby. "C'erano angoscia, dolore, pianti, commozione... Andai nel mio studio, a casa, perché mi sono sempre rifugiato nella musica. Volevo solo suonare il pianoforte, non volevo comporre. Ma, improvvisamente, è nato il brano 'Rinascerò, rinascerai', che non so nemmeno io da dove sia arrivato. Ho capito che era una melodia che, io per primo, mi faceva stare bene. Chiamai Stefano D'Orazio che, ascoltata la melodia, scrisse in pochissimo tempo quella meravigliosa poesia", spiega il cantante, raccontando come sia nata la splendida canzone dedicata a Bergamo. "La mia città è in ginocchio, sta ancora soffrendo parecchio. I proventi della canzone sono andati al nostro ospedale, il Papa Giovanni XXIII, che in quel periodo era in enorme difficoltà".