L'intervista del presidente Mediaset pubblicata sul magazine MasterX, periodico del master in Giornalismo dell'Università Iulm
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Una gigantografia della Divina Commedia domina il muro dietro alla sua scrivania. Appeso accanto alla porta d’ingresso, lo spartito delle Nozze di Figaro di Mozart testimonia la passione di Fedele Confalonieri per la musica classica: "Ma so benissimo che per la maggioranza la musica è Vasco Rossi, se va bene i Beatles". Diplomato al Conservatorio di Milano in pianoforte, è stato amministratore delegato de Il Giornale di Indro Montanelli ("Scriveva divinamente... Un giornalista unico"). Braccio destro di Silvio Berlusconi, Confalonieri ha vissuto da protagonista la nascita della tv privata in Italia. Dal 1996 è presidente di Mediaset.
Quanto è cambiata la tv italiana in questi anni?
"Il digitale ha cambiato molto. Quando Berlusconi ha avuto l’idea geniale di contrapporsi al monopolio Rai, c’eravamo solo noi, il servizio pubblico e le tv locali. Adesso solo per scorrere con il telecomando i canali gratuiti impieghi mezz’ora e non hai nemmeno guardato metà dell’offerta. La competizione tra reti tv è molto più agguerrita e inoltre sono arrivati gli Over The Top (Ott; le piattaforme che distribuiscono contenuti online, ndr) che hanno sottratto alle tv investimenti pubblicitari per un miliardo e mezzo di euro. I nuovi operatori online hanno possibilità infinite grazie a due fenomeni: la globalizzazione e la tecnologia. Oggi la comunicazione classica – pensiamo ai giornali e ai magazine – perde valore ogni giorno. La tv regge, ma con fatica, perché come abbiamo visto la concorrenza è anche squilibrata".
Muta anche il modo di fare televisione, per esempio con l’all-news, in onda quasi 24 ore su 24.
"Tecnologia e globalizzazione sono i due elementi della modernità. Possiamo datarli a inizio anni Duemila, quando è stato lanciato Youtube (nel 2005, ndr). La politica poteva intervenire subito per creare regole uguali per tutti e tutelare la proprietà dei contenuti, ma ha capito poco. Dietro c’è anche un grosso problema politico, perché lo strapotere degli operatori globali è una forma di neocolonialismo americano. Noi televisioni italiane abbiamo mille vincoli (le fasce orarie protette, le quote per il cinema, i limiti alle pubblicità nei film...) mentre gli Ott non hanno alcun limite (puoi trovare online contenuti pornografici pesantissimi, tutorial dell’Isis che insegnano a costruire bombe). Insomma, noi siamo iper-regolamentati, loro zero... Almeno pagassero le tasse! Ma anche questo non succede. O succede in modo risibile, a causa del loro essere sovranazionali".
Come può convivere la televisione con Internet e in relazione anche agli Over The Top. Qual è la strada da seguire?
"La nostra difesa è puntare sui contenuti esclusivi. Per combattere i vari Netflix, Amazon, Google, dobbiamo fare una televisione nazionale che, nel panorama globale, sia locale e popolare. Le produzioni di Netflix saranno anche bellissime, ma sono fredde, qualcosa che sta in frigorifero e tu tiri fuori quando hai voglia. Al contrario i nostri programmi, dal Grande Fratello o l’Isola dei Famosi – che possono piacere o non piacere –, l’intrattenimento di Maria De Filippi, ma anche l’informazione e i talk show sono tutti contenuti televisivi che si riferiscono alla nostra realtà giorno per giorno, spesso in diretta. Gomorra e Suburra, pur essendo serie tv italiane, sono prodotti pronti da congelatore che puoi guardare quando vuoi ma non si evolvono. Lo stesso ragionamento vale peri giornali locali: reggono ancora perché hanno un prodotto unico che alla gente interessa, poiché riguarda i fatti che la circondano. La nostra è una tv nazionale che racconta i fatti e il costume italiano. È una tv calda, e qui sta il nostro futuro".
Come si blocca la fuga dei telespettatori verso le decine di nuovi canali pay e on demand?
"Essere vicini al pubblico è l’elemento che garantirà un futuro alle emittenti nazionali. I programmi di intrattenimento, come Striscia la notizia, le Iene, ma anche Ballando con le Stelle della Rai, sono prodotti che funzionano, perché il pubblico cerca un divertimento con volti e fatti che conosce. Potrà far ridere anche Woody Allen, ma il grande pubblico ai miei tempi rideva di più con Walter Chiari, come oggi succede con Claudio Bisio, Ficarra e Picone e gli altri".
Come è cambiato il modo di fare giornalismo in questi anni?
"Una volta aspettavamo i quotidiani del giorno dopo per avere e dare le notizie, oggi attraverso lo smartphone siamo subito collegati con quello che è accaduto meno di dieci minuti fa. Il giornale è già diventato un prodotto da amatori, da addicted alla lettura. Io non riesco a passare una giornata senza aver letto un giornale, ma sono un cavernicolo per questo periodo. C’è però da dire che per leggere le 60 pagine di un giornale ci metti una mattinata. E rischi sempre di essere insoddisfatto: se leggi il giornale trovi troppi articoli, solo alcuni davvero necessari, ma se non lo leggi ti chiedi cosa ti sei perso. Questa è la contraddizione dei quotidiani di oggi".
C’è chi dice che i giornalisti possano vedere parecchio ridimensionato il loro ruolo. Essendo una scuola di giornalismo, non ci fa molto piacere. Lei cosa ne pensa?
"Nell’era del web, la parola-chiave è disintermediazione, una parola che va a vostro sfavore. La vostra professione è proprio quella di essere intermediari intelligenti tra i fatti e il pubblico: selezionare, spiegare, creare gerarchie negli eventi. Il futuro del giornalista sarà sempre più quello dell’opinionista, colui che interpreta i fatti".
Negli ultimi anni, Mediaset è riuscita a fare un sito importante come il Tgcom24.it, secondo nella classifica Audiweb.
"Paolo Liguori è il giornalista che lo ha fatto partire. Il Tgcom24 funziona perché è fatto bene e perché punta sulla convergenza tra televisione, web e radio".
Il Mondiale di Russia 2018 sbarca su tv privata in chiaro per la prima volta. Cosa significaper Mediaset?
"Un bel colpo, non solo di immagine, che credo ci darà anche qualche soddisfazione economica. E' anche l’occasione per lanciare un nostro nuovo canale, il 20, che sta andando molto bene e manderà in onda anche alcune partite in esclusiva. Certo, non giocano gli Azzurri - se siamo scarsi, siamo scarsi - ma con tutti i calciatori importanti che giocano in Italia sarà comunque un successo di audience. Perché l’interista vuol vedere Icardi, il milanista... No, il milanista non vuol vedere niente, poveretto (ride)".
Cosa rappresentò Mike Bongiorno all’inizio di Mediaset?
"Berlusconi diceva 'bisogna trovare quelli che sono nella pancia degli spettatori', Mike lo era. Mike è stato un colosso della tv ed è stato il primo a venire da Berlusconi. Mi ricordo che quando il Cavaliere lo ingaggiò ci vedemmo in un ristorante di Milano, il Club44, dietro al cinema Durini. Lui, americano, aveva avuto esperienze negli Stati Uniti e con Lascia o Raddoppia, con i suoi quiz, faceva fermare l’Italia".
Oggi chi è nella pancia degli spettatori?
"Oggi ci sono Michelle Hunziker, Barbara d'Urso, Gerry Scotti, la De Filippi e tanti altri da noi. E qualcuno, forse, anche in tv concorrenti. Ma sono poche le vere grandi star. Gli spettatori si identificano con loro".
Se potesse ripristinare un programma tv del passato senza pensare agli ascolti?
"Io manderei in onda una partita del Milan. Una partita di Champions (ride). Forse la prima Coppa dei Campioni vinta da Berlusconi, nel 1989: il 4 a 0 a Barcellona contro lo Steaua Bucarest. C’erano allo stadio 70-80mila rossoneri".
Cosa le piace guardare in televisione?
"Guardo molto il calcio e l’informazione. Ma non i talk show politici, che mi annoiano soprattutto quando si comincia a discutere: dopo un po' che si parla delle stesse cose non ne puoi più. Anche perché quelli che partecipano a quei programmi sono politici che devono parlare tutti i giorni: io penso – e mi sopravvaluto – che mi scappa una cosa intelligente una volta al mese, possibile che questi possano dire qualcosa di intelligente ogni ora? Impossibile".
Che altro?
"Qualcosa di spiritoso, perché ridere fa sempre bene. Poi guardo anche la concorrenza: c’è un bellissimo canale che si chiama Classica, dove al sabato sera c’è sempre un’opera (dalla Scala, da Salisburgo...) che poi viene replicata durante la settimana. Altre cose che mi piacciono? Denuncio la mia età: mi piace il genere «bar sport». Per esempio, Telelombardia ha una decina di signori di squadre diverse che discutono di calcio come un tempo avveniva al bar sport".
C'è un personaggio che ancora non è passato da Mediaset ma che le piacerebbe avere?
"Forse il personaggio di maggior spicco nel mondo televisivo è Fiorello. Ha un talento enorme. Canta come un cantante, ma di quelli bravi; è spiritoso come pochi. E' anche intelligente, perché si gestisce con cautela, fa un po' di radio, un po' l’edicola. Fiorello, nel suo, è un genio".
Perché non si riesce a fare un programma di Fiorello su Mediaset?
"Ci aveva provato Antonio Ricci a suo tempo, però non si è combinato. Fiorello è uno veramente molto parco, ed è molto intelligente in questo. Ricordo che Alberto Sordi andava poco in televisione, solo quando doveva far uscire un film. La televisione – e la cosiddetta overexposure – usura: capirlo è una forma di intelligenza. Di Maio, per esempio, è già in overexposure. Perché non c’è niente da fare: quando stai troppo in televisione, alla fine stanchi a prescindere da quello che dici. I grandi del passato in tv si vedevano poco. E meno male che si vedevano poco, perché se li avessi visti tanto... Insomma, c’è il vecchio detto: nessuno è grand’uomo per il suo maggiordomo".
La Veneranda Fabbrica del Duomo metterà a disposizione degli immobili agli studenti universitari, anche della Iulm. A che punto è l’accordo?
"Non lo abbiamo ancora chiuso, ma metteremo a disposizione due immobili in una bellissima zona: sulla Darsena, in viale Gorizia. Sotto uno dei due c’è la scuola di canto della Veneranda Fabbrica del Duomo. Sono stanze che hanno anche la cucina, e saranno per una o due persone. E vogliamo renderli disponibili a una cifra abbordabile per studenti universitari".
Federico Graziani e Carolina Sardelli