L'articolo di Klaus Davi pubblicato da Affaritaliani.it
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Per chi ha una certa età, Paolo Liguori è semplicemente "Straccio". In una biografia, ad opera di Giorgio Dell’Arti, è spiegata l’origine del soprannome: "Da giovane, con una bellissima faccia da indio e capelli neri e lisci che arrivano a metà schiena, studente di Architettura, si dedica alle attività più estreme del movimento studentesco romano. Per esempio, irruzioni in scuole elementari di borgata per incitare i pargoli alla ribellione. In una di queste, un bambino interrogato dalla polizia sui possibili autori del delitto, rispose: "Nun so come se chiamavano. A uno glie dicevano merda, a un altro straccio". "Straccio" divenne il suo protonickname".
Dai tempi delle contestazioni studentesche di acqua sotto i ponti ne è passata e Paolo Liguori è diventato a tutti gli effetti un giornalista facente parte di un certo establishment politico editoriale. Una carriera che però non ha compromesso la sua verve polemica e, soprattutto, la sua caratteristica primigenia di “cronista da strada”.
È vero che la sua stella è fissata in forma ben visibile nella galassia dell’universo berlusconiano ormai da decenni, ma è altrettanto vero che il suo istinto di polemista e di bastian contrario spesso riemerge e punge con effetti imprevedibili. Giungendo a offrire letture dei fatti per alcuni opinabili, ma sicuramente non convenzionali e, anzitutto, utili a far capire al pubblico a casa cosa stia accadendo realmente nel Palazzo ma anche nella società.
Chi lo nominò direttore di Tgcom24 nel 2015, facendolo subentrare ad Alessandro Banfi, non può non aver tenuto conto del suo pedigree di giornalista da marciapiede, munito di un senso quasi ‘animale’ della notizia. Tra gli obiettivi ipotizzabili spiccava quello di conferire alla rete all news di Mediaset un profilo chiaramente riconoscibile, magari anche dal sapore corsaro, ma non per questo meno attento alla ritmica e alla credibilità delle notizie.
Un cambio di passo che ha messo insieme due filosofie apparentemente opposte. Da una parte era necessario rispettare la sintassi più ortodossa delle breaking news, ispirata a quei valori di obiettività che non venissero meno alla funzione intrinseca di quel tipo di canali. Utili a questo scopo, cosa che Liguori ha saputo implementare, le sinergie con le altre realtà informative di Mediaset e il travaso di validi volti con le altre testate. Parliamo di ottimi professionisti come Benedetta Corbi, Alan Patarga, Elena Tambini, Manuela Boselli, Federico Novella, Micaela Nasca, Claudia Vanni e Fabio Marchese Ragona.
Dall’altra – bisogna dirlo – andava servito anche il ‘piatto forte’, il brand identificativo del nuovo direttore, rappresentato dallo storico "Fatti e Misfatti", trasmissione decennale in cui Liguori celebra la "messa cantata della politica" che si è perfettamente integrata nel palinsesto quotidiano.
Per chi non l’avesse mai vista, la ‘funzione’ si articola così. Il direttore introduce l’argomento del giorno che dà il la alla puntata e lancia la palla gli ospiti, solitamente giornalisti, politici e opinionisti di spicco. Il programma si fonde geneticamente con la forte personalità del suo conduttore che – piccola nota di colore – arriva perfino a prestare la propria voce canticchiando la sigla di inizio.
A scanso di equivoci, il punto di vista che funge da filo conduttore alla rubrica è, da subito, molto chiaro. "Straccio" ricorda a chi è a casa di avere una netta e riconoscibile opinione sulla storia (o il misfatto) del giorno. Ma non per effetto di una sua appartenenza al cosiddetto "palazzo berlusconiano", bensì grazie a un cordone ombelicale ben funzionante e collegato con la pancia del paese. "La gente mi telefona, legge i social, mi parla per strada" sottolinea a più riprese, assumendo anche posizioni non necessariamente in linea con il suo mondo culturale di riferimento.
Se vogliamo usare una metafora teatrale greca, Liguori è al tempo stesso il ‘corifeo’ (capo del coro), che giudica e decodifica i fatti che avvengono; e l’attore, cioè colui che li interpreta, quando si rende conto che la gente a casa potrebbe non essere in grado di afferrare il dipanarsi della storia.
Un esempio recente di questo doppio ruolo si è avuto dal confronto- scontro, andato in onda qualche giorno fa, tra Liguori e Simona Malpezzi, esponente Dem. Per evidenziare le incertezze e le contraddizioni del PD guidato ufficiosamente da Renzi ma ufficialmente da Martina, il direttore di Tgcom24 è ricorso alla figura ‘unificante’ di Togliatti: "Parliamoci chiaro: nel vostro statuto non è neanche previsto il congresso. Ci sono solo le elezioni primarie della persona. Non come ai tempi di Togliatti, che dettava la linea comune a tutti facendola annunciare pubblicamente proprio da chi era contrario. Questa cosa è finita. Non c’è neanche più questo. Per questo non volete contarvi". Per una volta, a finire come uno Straccio è stata la malcapitata Malpezzi…
Tgcom24, una rete in crescita che piace ai senior Il canale all news di Mediaset, diretto da Paolo Liguori, vede la propria audience media (dal 1° gennaio al 5 maggio 2018 ) in netta crescita rispetto allo scorso anno: 38.300 spettatori e share dello 0,28%, registrando un incremento del 9% in termini di audience e +0,01 punti percentuali di share rispetto al 2017. Escludendo gennaio, Tgcom24 ha ottenuto un aumento tra il 10 e 19% di audience in tutti i mesi del 2018, con un picco del 45% a marzo, in concomitanza con le elezioni. Il profilo dei telespettatori vede una leggera prevalenza maschile (56%), mentre per quanto riguarda l’età gli over45 rappresentano il 72% dell’audience; la rete è leggermente meno affine al pubblico del sud, come già verificato per tutte le emittenti all news. Lo rivela l'analisi a cura di Anthony Cardamone, a capo del dipartimento ricerche di Omnicom Media Group, in collaborazione con l'agenzia Klaus Davi & Company.