le parole dell'economia

Deglobalizzazione, è questo l'obiettivo dei dazi di Trump? Gli effetti per le PMI italiane

Spostare gli stabilimenti sarebbe un costo insostenibile per la maggior parte delle realtà

19 Apr 2025 - 08:17
 © Istockphoto

© Istockphoto

La parola deglobalizzazione risuona sempre più forte nei corridoi dell'economia mondiale, e le politiche commerciali di Donald Trump, con i suoi dazi e le sue accuse di concorrenza sleale potrebbero davvero segnare la fine del mondo interconnesso, così come lo conosciamo. Ma cosa significa davvero questo cambio di rotta per le PMI italiane?

Il ritorno dei dazi, la fine della globalizzazione? L'imposizione di dazi, come quelli che Trump ha applicato su acciaio e alluminio, o le minacce di tariffe punitive su prodotti cinesi ed europei, rappresentano un chiaro segnale di inversione di marcia rispetto al libero scambio che ha caratterizzato gli ultimi decenni. Questi dazi, pensati per proteggere le industrie nazionali, rischiano di innescare una spirale di ritorsioni, con un impatto negativo sul commercio globale.

Deglobalizzazione, un obiettivo strategico? Alcuni analisti vedono nelle politiche di Trump un tentativo deliberato di accelerare la deglobalizzazione, riportando la produzione in patria e riducendo la dipendenza dagli altri paesi. L'obiettivo sarebbe quello di rafforzare l'economia americana e riconquistare la leadership industriale, anche a costo di incrinare le relazioni commerciali con alleati storici. Ma tra il dire e il fare c'è spesso di mezzo la realtà.

La fattibilità (e le criticità) di trasferire gli impianti negli Usa Per alcune grandi aziende, la prospettiva di trasferire gli impianti produttivi negli Stati Uniti, incentivata da politiche di reshoring e potenziali vantaggi fiscali, potrebbe apparire allettante. Tuttavia, per la maggior parte delle PMI italiane, questa opzione presenta criticità significative. I costi di investimento iniziali per la creazione di nuove infrastrutture produttive, l'adeguamento alle normative locali (spesso diverse da quelle europee), la ricerca e l'assunzione di personale qualificato in un mercato del lavoro statunitense dinamico ma costoso, rappresentano ostacoli spesso insormontabili.

Inoltre, la perdita di sinergie con le filiere produttive italiane, la potenziale frammentazione del know-how aziendale e la difficoltà nel mantenere la qualità del "Made in Italy" a distanza sono fattori da non sottovalutare. Sebbene alcune nicchie di mercato con prodotti ad alto valore aggiunto potrebbero valutare un'espansione produttiva mirata negli USA, per la stragrande maggioranza delle PMI italiane, il trasferimento completo degli impianti rimane una prospettiva poco realistica e costosa.

Pandemia, le prove generali della deglobalizzazione La pandemia di Covid19 ha rappresentato una sorta di "prova generale" per la deglobalizzazione. Le chiusure delle frontiere, le interruzioni delle catene di approvvigionamento globali, la difficoltà nel reperire materie prime e componenti essenziali (si pensi ai dispositivi medici o ai semiconduttori) hanno messo in luce la fragilità di un sistema economico eccessivamente interconnesso e dipendente da fornitori lontani.

Sono emersi chiaramente i pericoli di una globalizzazione basata sul modello "just-in-time", dove le scorte sono ridotte al minimo e si dipende fortemente da fornitori lontani. L'esperienza di quel periodo di lockdown ha quindi portato a una discussione sulla necessità di rendere le catene di approvvigionamento più robuste e meno vulnerabili. Si è iniziato a parlare di diversificare i fornitori, in modo da non dipendere da un'unica fonte, e di riportare parte della produzione più vicino ai luoghi di consumo. Queste riflessioni e azioni rappresentano un'anticipazione di alcune delle tendenze che oggi definiamo come deglobalizzazione.

Le PMI italiane sotto pressione Le piccole e medie imprese italiane rappresentano una fetta importante del nostro export: SACE stima che nel 2023 le esportazioni delle PMI italiane siano cresciute e prevede che supereranno i 300 miliardi di euro nel biennio 2025-2026.

La maggior parte del loro export è diretto verso l'Unione Europea (oltre il 50%), ma anche i Paesi europei non UE e il Nord America (dove le politiche di Trump hanno un impatto diretto) rappresentano quote importanti (circa il 14% e il 5% rispettivamente secondo SACE nel 2023).

Settori di eccellenza del "Made in Italy" come la moda e l'agroalimentare, particolarmente apprezzati all'estero, rischiano di subire un contraccolpo importante a causa dei dazi, con stime di perdite di fatturato che potrebbero raggiungere i 5-8 miliardi di euro (dato Unimpresa).

Nello specifico le conseguenze di questa guerra commerciale potrebbero essere numerose:

  • Aumento dei costi: i dazi sulle materie prime e sui semilavorati importati potrebbero far lievitare i costi di produzione, riducendo la competitività delle PMI italiane sui mercati internazionali.
  • Difficoltà di accesso ai mercati: le barriere commerciali potrebbero ostacolare l'export delle PMI italiane, soprattutto verso gli Stati Uniti e la Cina, due mercati chiave per il nostro Made in Italy.
  • Rischio di ritorsioni: l'Unione Europea potrebbe rispondere ai dazi americani con misure analoghe, colpendo le esportazioni italiane in settori strategici come l'agroalimentare e il tessile.
  • Riorganizzazione delle catene di fornitura: le PMI dovranno valutare la riorganizzazione delle proprie catene di fornitura, valutando alternative a fornitori esteri, e magari incrementando il nearshoring.

Cosa possono fare le PMI italiane? Di fronte a questo scenario incerto, le PMI italiane possono adottare diverse strategie:

  • Diversificare i mercati: non dipendere eccessivamente da un singolo mercato, ma esplorare nuove opportunità in paesi emergenti e mercati regionali.
  • Investire in innovazione e qualità: puntare sulla qualità dei prodotti e sull'innovazione per differenziarsi dalla concorrenza e mantenere un vantaggio competitivo.
  • Rafforzare le reti di collaborazione: creare partnership con altre realtà e con le istituzioni per condividere risorse, conoscenze e opportunità.
  • Monitorare l'evoluzione del contesto internazionale: seguire attentamente le dinamiche geopolitiche e le politiche commerciali per anticipare i cambiamenti e adattare le proprie strategie.

Commenti (0)

Disclaimer
Inizia la discussione
0/300 caratteri