Il divario retributivo aumenta con l'età, raggiungendo il 28,5% nella fascia 55-65 anni. La disparità più marcata nel settore manifatturiero, mentre in alcuni ambiti come ristorazione e alloggio le professioniste superano i colleghi uomini
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Un divario economico che si allarga con l'avanzare della carriera e che colpisce in modo differente a seconda dei settori professionali. È quanto emerge dall'indagine sul gender pay gap realizzata dalla tech company Fiscozen, che ha analizzato i dati di oltre 30.000 partite IVA attive nel 2024.
Secondo lo studio, i lavoratori autonomi uomini guadagnano mediamente il 18,3% in più rispetto alle colleghe donne, con una differenza che si traduce in 3.343 euro annui. Il fenomeno appare già evidente all'inizio della carriera, con un divario del 7,4% nella fascia d'età 18-24 anni, per poi accentuarsi significativamente nella fascia 25-35 anni (20,6%) - periodo che coincide spesso con la maternità - fino a raggiungere il picco del 28,5% tra i 55 e i 65 anni, dove gli uomini guadagnano in media 5.886 euro in più all'anno.
Analizzando i diversi ambiti professionali, emergono differenze sostanziali. Il settore manifatturiero presenta il divario più marcato, con un gap del 91,4%: gli uomini fatturano mediamente 27.939 euro contro i 14.643 delle donne. Significative disparità si registrano anche nel campo dell'informazione e comunicazione (27,3%) e nella categoria "Altri servizi" (26,5%), che include figure professionali come stylist, caregiver, pedagogisti e personal trainer.
Nei settori con maggiore concentrazione di partite IVA, le attività scientifiche o legate ad albi professionali mostrano un divario dell'11,7%, mentre in ambito sanitario e assistenziale la differenza sale al 17,6%. Il mondo dell'istruzione è quello che più si avvicina alla parità, con un gap limitato al 4,5%.
Lo studio rileva tre settori in controtendenza, dove le professioniste superano i colleghi uomini in termini di fatturato: in testa i servizi di alloggio e ristorazione, con un vantaggio del 26,2% (9.857 euro annui in più), seguiti dalle attività di noleggio e viaggi (+9,2%) e dal settore immobiliare (+7,1%).
"Nei cinque anni tra il 2020 e il 2024, il gender pay gap in partita IVA è diminuito progressivamente, dato che nell'anno della pandemia era di oltre il 10% più alto," ha commentato Enrico Mattiazzi, CEO e co-founder di Fiscozen. "Tuttavia, i dati ci dicono senza mezzi termini che c'è ancora molta strada da fare nel mondo della libera professione per avvicinarci sempre più alla parità tra donne e uomini, soprattutto se comparato con il gap nel lavoro dipendente, decisamente più basso."
Il divario retributivo appare infatti più contenuto tra i lavoratori dipendenti: secondo l'Istat, nel 2022 il gender pay gap in questa categoria era del 5,6%, con picchi del 15,9% nel settore privato e valori più contenuti (5,2%) nelle società pubbliche.
Le disparità si riflettono inevitabilmente anche sul sistema pensionistico. Il Rendiconto di Genere 2024 dell'Inps evidenzia come, nonostante le donne pensionate siano più numerose degli uomini (7,9 milioni contro 7,3), ricevano assegni mediamente più bassi. Particolarmente svantaggiate risultano le ex lavoratrici autonome, con pensioni di anzianità inferiori del 43,9% rispetto agli uomini e pensioni di vecchiaia con un gap del 38,2%.
"Questo divario pensionistico riflette le minori opportunità di guadagno che le donne incontrano nel corso della loro carriera," conclude Mattiazzi. "Per molte giovani, aprire la partita IVA significa investire sul proprio talento e sulla propria indipendenza, nonostante retribuzioni inferiori e minori tutele rispetto al lavoro dipendente. Per una generazione che considera autonomia e flessibilità valori essenziali, lavorare con la partita IVA è una scelta naturale: renderla più sostenibile permetterebbe di valorizzare appieno questa opportunità."