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Un equilibrio tra professione e vita privata è possibile: ecco come uscire dall'era gassosa del lavoro e costruire un rapporto sano con colleghi e capi
di Giuliana Grimaldi© Ufficio stampa
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"Basta lavorare così" (Bompiani Overlook, 224 pagine, 18 euro) di Silvia Zanella, affronta il tema della ricerca di un equilibrio felice tra vita professionale e personale. L'autrice esplora le trasformazioni tumultuose del mondo del lavoro contemporaneo - dallo smart working alle pressioni digitali costanti - partendo dal presupposto che non sia più accettabile star male per il proprio impiego.
Silvia Zanella, manager con esperienza nelle più grandi aziende di risorse umane e consulenza a livello internazionale, analizza situazioni quotidiane e abitudini tossiche, proponendo un approccio che possa portare benefici sia ai lavoratori sia alle aziende. Lo ha spiegato nel dettaglio nell'intervista che le ha fatto Tgcom24.
"Basta lavorare così" è una frase che molti pensano ma pochi pronunciano. Com'è cambiata la percezione del lavoro negli ultimi anni?
Negli ultimi anni, la percezione del lavoro è cambiata radicalmente. La pandemia ha accelerato la consapevolezza che il lavoro non deve essere necessariamente una fonte di sofferenza e soprattutto ha fatto rivedere drasticamente le priorità di ciascuno. Le nuove generazioni, in particolare, rifiutano modelli lavorativi che sacrificano la vita privata. La tecnologia ha reso possibile il lavoro da remoto, evidenziando l'importanza di un equilibrio tra vita e lavoro ma anche la difficoltà a ottenerlo. Inoltre, c'è una crescente attenzione al benessere mentale e alla qualità delle relazioni professionali, con un rifiuto delle dinamiche tossiche e una maggiore richiesta di flessibilità e autonomia.
Nel libro afferma che "stare meglio al lavoro fa bene anche alle aziende". Come realizzare concretamente questo concetto?
Per realizzare concretamente questo concetto, le aziende devono investire nel benessere dei dipendenti. Questo può includere programmi di welfare, supporto alla salute mentale, flessibilità oraria e luoghi di lavoro ergonomici e piacevoli. È fondamentale creare una cultura aziendale basata sulla fiducia, sulla delega e sulla responsabilizzazione. È nell'interesse delle imprese ascoltare le esigenze dei dipendenti e adattarsi, promuovendo un ambiente inclusivo e rispettoso. Investire nel benessere porta a una maggiore motivazione, produttività e fidelizzazione dei dipendenti.
Dopo la pandemia è emersa più chiaramente la voglia di separare lavoro e vita privata. Tuttavia, molte aziende sembrano non accettare questo cambiamento, specialmente quando sono i giovani a porre dei limiti. Come risponde a chi sostiene che le nuove generazioni "non vogliono più fare sacrifici" o "non hanno voglia di lavorare"?
Le nuove generazioni non rifiutano il lavoro, ma cercano un equilibrio tra vita privata e professionale. E non solo loro, si tratta di un cambio di paradigma che segna tutte le età, anche a fronte di un patto lavoratore/azienda che non offre più le garanzie di un tempo. In più, l'emergenza covid ha dimostrato che è possibile lavorare efficacemente anche da remoto. I giovani vogliono lavorare in modo intelligente, non sacrificare la loro salute mentale e il loro benessere. Non si tratta di mancanza di voglia di lavorare, ma di voler lavorare in condizioni che permettano di vivere bene.
Come trovare un equilibrio felice tra vita e lavoro? Quali domande fare per capire se un posto è giusto per noi?
Per trovare un equilibrio felice tra vita e lavoro, è importante valutare le proprie priorità e cercare aziende che le rispettino. Alcune domande utili da fare durante un colloquio possono essere: "Qual è la politica aziendale riguardo al lavoro da remoto? Come viene gestita la flessibilità oraria? Quali programmi di welfare e supporto alla salute mentale sono disponibili? Qual è la cultura aziendale riguardo alla delega e alla responsabilizzazione?" Queste domande aiutano a capire se l'azienda valorizza il benessere dei dipendenti e se offre un ambiente di lavoro sano.
Quanto è rischioso identificarsi completamente con la propria professione?
Identificarsi completamente con la propria professione può essere rischioso, soprattutto in un'epoca di salari bassi. Questo può portare a una perdita di identità personale e a una dipendenza eccessiva dal lavoro per la propria autostima. Per quanto possa sembrare pleonastico dirlo, il valore di una persona non è determinato dal suo lavoro o dal suo stipendio. Coltivare interessi e relazioni al di fuori del lavoro aiuta a mantenere un equilibrio sano e a evitare il burnout. Le aziende fra l'altro avrebbero solo da guadagnare nel riconoscere il valore dei dipendenti oltre il loro ruolo professionale.
Nel libro lei critica espressioni aziendali come "siamo una grande famiglia", "mettiamo le persone al centro" o "bisogna lavorare per amore". Perché ritiene che questo tipo di retorica possa risultare tossica per i lavoratori?Queste espressioni creano aspettative irrealistiche e possono mascherare dinamiche asimmetriche spesso malsane. Dire che un'azienda è una "grande famiglia" può portare a una confusione tra vita privata e professionale, e a una pressione indebita per conformarsi. "Mettere le persone al centro" spesso non si traduce in azioni concrete, diventando solo uno slogan vuoto. "Lavorare per amore" può giustificare condizioni di lavoro precarie e non retribuite adeguatamente, specie nella scuola, nella sanità e nell'ambito culturale. Ci viene spesso richiesto di amare il nostro lavoro, ma non sempre esso ricambia il nostro amore.
Come costruire allora un rapporto più sano con il nostro lavoro? Di cosa è fatto un "buon lavoro"?
Un "buon lavoro" è fatto di diversi elementi: deve creare valore e significato, produrre risultati di qualità, essere ben organizzato, riconosciuto e remunerato adeguatamente. Deve garantire sicurezza fisica e psicologica, offrire flessibilità e inclusione, permettere la crescita professionale e la formazione continua. Per costruire un rapporto più sano con il lavoro, è importante trovare un equilibrio tra le esigenze professionali e personali, coltivare interessi al di fuori del lavoro e cercare aziende che valorizzino il benessere dei dipendenti. E tenere conto che possono variare nel tempo.
Quali sono le disparità di genere più evidenti nel lavoro italiano e come possono le donne affrancarsi?
Le disparità di genere nel lavoro italiano includono il gender pay gap, la difficoltà di accesso a posizioni apicali, la penalizzazione per la maternità e la prevalenza di contratti precari. Le donne possono affrancarsi attraverso la formazione continua, la negoziazione delle condizioni di lavoro, il networking e il supporto reciproco. Le aziende dovrebbero essere incentivate a promuovere politiche di equità, offrire supporto alla genitorialità e garantire pari opportunità di crescita e sviluppo professionale.
Cosa intende quando scrive che con la pandemia siamo entrati "nell'era gassosa del lavoro"? Quale forma assumerà in futuro?
Con "era gassosa del lavoro" intendo la smaterializzazione dei confini tra vita e lavoro, resa evidente dalla pandemia. Il lavoro è diventato più fluido, meno legato a un luogo fisico e più integrato con la vita privata. Dopo un'epoca solida, quella dell'industria pesante, e una liquida, quella digitale, siamo nel terzo stato del lavoro, quello dove manca visibilità perché è, appunto, nebuloso. In futuro, il lavoro assumerà forme sempre più flessibili e ibride, con una maggiore attenzione al benessere dei dipendenti e alla qualità delle relazioni professionali. Le aziende dovranno adattarsi a queste nuove esigenze, offrendo soluzioni innovative per conciliare vita e lavoro. Quello che emergerà sarà il quarto stato del lavoro.