Clementi e Zanon: "Ecco la nostra ricetta per il poke underground"
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L'amministratore delegato e il presidente di Poke Scuse raccontano come hanno declinato in una nuova chiave la ciotola di riso che dalle Hawaii ha conquistato le tavole di tutto il mondo
Ha conquistato da qualche anno pure gli italiani sostituendo l'amata pasta al pomodoro: il poke è una ciotola di riso che piace a tutti perché fa della personalizzazione degli ingredienti e della velocità i suoi punti forti, che le hanno permesso di diventare una delle pietanze più ordinate sulle piattaforme di cibo a domicilio. Arriva dalle lontane isole Hawaii, ma in pochi anni si è imposta anche nel nostro Paese, trovando una declinazione underground anche grazie a Poke Scuse, poke house fondata da Christopher Clementi e Nicolò Zanon, rispettivamente amministratore delegato e presidente dell’azienda, che raccontano a TgcomLab il percorso fatto finora e i progetti per il futuro.
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Come siete arrivati a ricoprire l'incarico attuale?
Partendo totalmente da zero. Abbiamo iniziato mettendo mano ai nostri primi risparmi, 20mila euro a testa. Con quella somma abbiamo aperto il primo punto vendita a Jesolo, nel 2019. Il trend del poke era appena partito, si trovava solo a Milano e Roma e noi fummo i primi a portarlo in Veneto. Adesso abbiamo fatto un bel passo avanti coinvolgendo il fondo d'investimento RF Cap, quotato nella Borsa di Parigi ed è entrato un altro socio, Alfredo Mancin. L'ampliamento ci ha permesso di aprire altri negozi, 34 punti vendita di cui 10 in franchising e altri di proprietà.
Com'è nata la vostra azienda?
L'idea è nata da una nostra personale esigenza, quella di avere un piatto componibile e veloce, un fast food che fosse anche sano. In America esisteva già quello che ci serviva e potevamo emularlo al meglio. Il trend delle poke house è hawaiano ma noi gli abbiamo dato un format più aggressivo e street che non c’entra niente con le Hawaii e quel mondo. Già nell’immagine dei nostri negozi ci siamo voluti staccare da questo linguaggio. Niente palme e colori pastello, abbiamo puntato sul nero e le luci a neon. Usiamo ingredienti e sapori italiani a parte poche eccezioni, ma il modo in cui interpretiamo e proponiamo il poke sono underground.
Qual è l'elemento di forza della vostra azienda?
Abbiamo una immagine diversa dai nostri competitor e puntiamo alla qualità dei prodotti, sui quali non badiamo a spese. Oltre l'impatto comunicativo differente, ci ha premiato il fatto di essere arrivati per primi su tante piazze. Poi il mix di influencer coinvolti, location scelte e qualità dei prodotti, in un rapporto 30, 30 e 40%. E il marketing che è stato sempre fondamentale per noi: per esempio abbiamo chiuso importanti accordi in esclusiva con alcune aziende come Nestlè e Redbull.
Quale consiglio date a chi vuole intraprendere una carriera nel settore della ristorazione?
Rispetto all’anno scorso abbiamo avuto il doppio di aperture di poke, il mercato è molto saturo di questa offerta e oggi è molto difficile inserirsi in questo trend. Scompariranno quei brand che propongono il format ma senza una identità precisa. Consigliamo di insistere su qualità e freschezza: anche se sono tempi bui non bisogna andare al risparmio e cercare di innovare e proporre sempre qualcosa di nuovo. Per il resto speriamo che la guerra finisca e che l'energia non costi più cosi tanto.
Come è stato toccato il vostro settore dall’emergenza covid?
Nel covid siamo stati favoriti perché il nostro sviluppo è avvenuto via delivery, abbiamo cavalcato il successo delle consegne a domicilio in piena pandemia. Il poke è stato uno dei piatti più venduti sulle piattaforme di delivery. Ci è andata bene a parte i centri commerciali che chiaramente a causa delle chiusure forzate hanno risentito di più in quel periodo. Le sfide attuali invece sono legate alla guerra e ai suoi effetti: i margini sono molto ridotti a causa del raddoppio del costo dell’elettricità, così come è aumentato il costo di riso, salmone e altri ingredienti.
Come vi dividete i compiti in azienda e come vi tenete aggiornati?
Noi due siamo le persone più operative, come amministratore delegato e presidente dell’azienda. Il Fondo ci dà una mano a livello di elaborazione dei dati e contabilità. Alfredo Mancin si occupa della ricerca delle location. Cerchiamo di essere sempre informati, di seguire i telegiornali, di essere curiosi e avere un orecchio aperto su quanto succede intorno a noi. Stare sul pezzo, sapere cosa accade e quali sono gli andamenti e le tendenze è fondamentale nel nostro lavoro.
Quanti anni avete e come trascorrete il vostro tempo libero?
Abbiamo 26 e 27 anni. Praticamente non facciamo ferie da quando siamo partiti. Da quando siamo più strutturati e organizzati riusciamo a staccare un weekend ogni tanto. Speriamo che il tanto lavoro porti i suoi frutti.
Quali errori avete commesso e cosa vi hanno insegnato?
Abbiamo fatto errori come tutti quanti. Abbiamo avuto la possibilità di lavorare con tantissimi influencer e vip in maniera totalmente gratuita. Ci vengono in mente tutti i chilometri fatti in macchina, persino un cost to cost da Jesolo a Sanremo in giornata.
Quali sono i progetti futuri dell'azienda?
Per il futuro guardiamo all’estero, mentre sul mercato italiano faremo delle aperture in franchising già entro la fine di quest'anno. Abbiamo inserito già un altro brand in alcuni punti vendita, After Scuse, una sorta di caffetteria.